Il ruolo di ognuno ed il futuro dopo la pandemia

 Il ruolo di ognuno ed il futuro dopo la pandemia

“Dovete stare a casa”. Oppure, “Cosa non vi è chiaro del fatto che dovere rimanere dentro?”. Così recitano i post collerici, indignati, stizziti che migliaia di calabresi stanno affidando ai social network in queste ore. Un’ondata di senso civico “via web” posizionata a valle degli stringenti decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri varati la scorsa settimana. Atti pesanti, assolutamente giusti e necessari, già entrati di diritto nei libri di storia per la gravità delle conseguenze funeste che avranno sull’economia e su molti settori della vita pubblica. Ma, sia chiaro, non era possibile fare altrimenti.

L’indirizzo di fondo è chiarissimo: bisogna restare dentro le proprie abitazioni affinché l’incubo da coronavirus passi il prima possibile. Bisogna farlo per davvero però, costringendosi ad una sorta di quarantena socialmente utile.

Purtroppo le cronache di questi giorni stanno descrivendo ben altro e, in particolare, la vicenda dei “treni che arrivano da Nord” sta facendo diventare pruriginosa ogni forma di discussione sul tema. Un qualcosa che il Mezzogiorno non poteva assolutamente permettersi: tra ipotesi di disastro sanitario e, ahinoi, incapacità di leggere sociologicamente un fenomeno che da settimane fluttuava nell’aria. Insomma, se è vero che la gente dentro casa ha difficoltà a starci (e in alcuni casi si sfiora la barzelletta), è altrettanto vero che su alcune situazioni si poteva e si doveva intervenire meglio. Treni in primis.

Detto questo, l’obbligo è di rimanere a casa. I maestri dell’alibi se ne dovranno fare una ragione. O qualcuno, prima o poi, dovrà pur ricordarglielo. Nelle ultime ora abbiamo assistito a cose incredibili, nel bene e nel male: flash mob, balconi in festa, musica dai terrazzi; ma anche migliaia di denunce, “trenini” domestici con amici e parenti, visite alle zie, gare di jogging. E cani dalle vesciche instancabili. Siamo un Paese pittoresco, non c’è dubbio. Quando capiremo, tutti, che il gioco a cui stiamo giocando è maligno? Solo ieri l’Eco di Bergamo pubblicava un necrologio di oltre dieci pagine. Un bollettino di guerra che ci auguriamo possa chiudersi il prima possibile. E possa lasciare in pace quante più parti d’Italia possibile. A noi, in fondo, è chiesto solo un piccolo sacrificio e un po’ di buon senso.

Dico questo non perché io abbia l’autorità di dire quanti e quali flash mob fare (tra l’altro, sono cose anche simpatiche o utili in certi casi). Piuttosto, per stimolare anche qualcosa di diverso rispetto all’ondata “pittoresca” degli ultimi giorni. Ad esempio, una riflessione su quello che siamo e su quello che saremo in futuro.

Attenzione, niente di troppo serio. Solo un esercizio per la memoria, e per le sue proiezioni al futuro, che potrebbe tornare utile prima di quanto immaginiamo.

Che Italia ritroveremo il 3 aprile là fuori?  E tra sei mesi, in che Calabria vivremo? Sarà sempre tutto uguale a prima, o assaggeremo un cambiamento reale in termini di costumi, tenori e stili di vita, abitudini?

Di certo, al momento, sappiamo che l’economia mondiale vivrà una recessione. L’Italia non sfuggirà a questa macro dinamica. Anzi. In questo quadro, la Calabria dovrà affrontare problematiche vastissime e urgenti. Lavoro, emigrazione, economia interna. E ancora, disgregazione sociale (già in atto da tempo), ulteriore perdita di identità, di tradizioni, di luoghi. Su quali saranno le priorità e su quali strumenti e risorse andranno messe in campo per rispondere alle criticità bisognerà riflettere seriamente. Ognuno di noi dovrà farlo per ipotizzare un futuro possibile e abitabile. Di nuovo democratico dopo questa parentesi dolorosa.

Un confronto interiore (e da condividere magari con i propri familiari, con gli amici su WhatsApp o su Facebook), che andrà allargato all’orizzonte nazionale. In questi giorni stiamo sentendo ripetere la solita solfa: i tagli alla sanità, le eccellenze del Nord, le disgrazie del Sud. Non entrerò nel merito. Non mi sono mai occupato di mangiatoie e non lo farò adesso. Di certo, però, la Sanità è e resterà uno dei nodi più spinosi per l’Italia del futuro e, specialmente, per il Meridione del Paese. Miliardi e miliardi tolti al diritto alla salute in queste decenni hanno definito un nuovo concetto di frontiera di cittadinanza. I diritti saranno ancora priorità nel mondo post corona virus? Certamente sì. Ma qualcosa dovrà cambiare. Anche perché, senza timore di smentita, negli ultimi trent’anni l’Italia ha tagliato in tema di Sanità, di Istruzione, di Cultura, di Infrastrutture. Non abbiamo un piano industriale da tempo immemorabile. Insomma, dove sono stati fatti gli investimenti? In cosa ha creduto lo Stato in tutto questo tempo? Quali sono state le priorità? Anche su questo si potrà (e si dovrà) riflettere molto per assumere una nuova coscienza civile, civica e di cittadinanza.  

Un’ultima considerazione. L’emergenza da coronavirus sta mettendo in crisi tutte le nostre certezze. Economiche, sociali, valoriali. E sta mettendo in crisi il concetto d’Europa in cui molti di noi hanno creduto da almeno due decenni a questa parte. Che Unione sarà quella del futuro? Noi non lo sappiamo. Fino ad oggi vi abbiamo partecipato più da spettatori che da protagonisti alla vita comunitaria. Abbiamo parlato di fondi Pon, Por, Fesr, poi poco altro. E il dibattito politico non ci ha aiutato in questa direzione.

Riflettiamo un po’ anche su questo allora, magari leggendo, informandoci e poi utilizzando un quaderno e una penna per fissare i nostri appunti. Alla fine ci ritroveremo con un testo magnifico capace di testimoniare a noi stessi e alle prossime generazioni cosa è stato il mondo ai tempi del Covid 19. E come gli italiani immaginavano il futuro nel 2020, nel bel mezzo di una pandemia dolorosa e imprevedibile.

Riflettiamo e scriviamo, ognuno scavando minuziosamente dentro se stesso. Il modo di fare i flash mob si troverà comunque.

Riflettiamo, leggiamo, informiamoci e scriviamo. Il tempo per farlo c’è. Alla fine, ne sarà valsa la pena.

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