Fede e pandemia: una chiacchierata con Nico Amato lungo il sentiero della Chiesa "comunità"

Fede e pandemia: una chiacchierata con Nico Amato lungo il sentiero della Chiesa "comunità"

Una Chiesa alla ricerca di rinnovate connessioni con il “tessuto liquido” della società contemporanea. Tensioni verso una meta che è, insieme, tra le cose e al di sopra delle cose stesse.

La fede ai tempi del coronavirus, dunque. Ma, ancor di più, l’intima professione oltre gli steccati pruriginosi di ciò che limita libertà e sicurezze. Nei grandi come nei piccoli centri. Nelle città come nelle aree rurali.

Il nostro sondaggio (qui i risultati) aveva messo in evidenza una tendenza significativa: una discendente fiducia nella Chiesa e, di fronte, un Papa amato ben oltre i confini della cristianità. Eppure i luoghi di culto, le parrocchie, le chiesette sono parte cruciale del radicamento cristiano nell’intero pianeta. Ma gli occhi della gente, adesso, sembrano più che mai puntati a Roma.

Numeri e sensazioni che fanno da contorno ai giorni della pandemia. E poi? Cos’altro?

L’impressione è che l’analisi possa andare ben oltre il momento storico. «La Chiesa deve vivere questa fase come momento di riorganizzazione e semina in vista del futuro». Lo spiega Nico Amato, responsabile della Pastorale per la Cultura del Santuario del Santissimo Rosario di Cittanova, che a Radio Venere ricorda il bisogno dei cristiani di ritrovarsi come comunità di valori e di speranza, oltre le paure o le contrapposizioni.

Dott. Amato, la sorprendono i numeri del sondaggio?

«I dati non mi trovano affatto sorpreso, anzi, confermano quella che è la mia sensazione da tempo. Si va affermando, ormai con una certa chiarezza, una visione leaderistica della Chiesa a discapito di quella comunitaria. Una visione distorta rispetto a quella che è la vera essenza dell’essere Chiesa. In questo momento storico, con un Papa che risulta scomodo ad alcune alte sfere clericali e appare invece piuttosto vicino alle esigenze del popolo, il consenso ampio di Francesco non può sorprendere. È un aspetto sociologico che riguarda da vicino i rapporti che la gente ha con le figure carismatiche e di potere. Ricordo, ad esempio, il consenso altissimo di Giovanni XXIII, il Papa buono per antonomasia, mentre consensi più bassi concretizzò Paolo VI per il suo approccio dottrinale e più colto. Stesso discorso tra Giovanni Paolo II, amatissimo in ogni angolo del mondo, e Benedetto XVI suo successore. Il popolo ha una coscienza di Chiesa leaderistica. Ovviamente, però, questo tipo di approccio lascia il tempo che trova. I Vescovi di Roma passano, ma la fede resta e deve incarnarsi nel progetto immaginato per noi da Gesù Cristo. Riscoprire il senso profondo di Chiesa, e dunque di comunità di battezzati e figli di Dio, è la sfida vera di questo tempo. Tra i figli di questa comunità c’è poi chi riceve la vocazione di guida, con il compito di animare l’intero popolo. Dio sceglie l’uomo, con i suoi pregi e con i suoi difetti, ma proprio perché uomo questo è soggetto alla caducità. Se tutti noi riscoprissimo il ruolo che ci è dato all’interno della Chiesa attraverso il battesimo, in particolare noi laici, ci troveremmo di fronte ad una vera fase nuova. Parti integranti di un progetto e non tifoserie. Una fede stabile ha bisogno della consapevolezza del ruolo primario che ognuno di noi riveste all’interno della comunità».

Nei giorni scorsi, la contrapposizione tra CEI e Pontefice sul ritorno alle celebrazioni eucaristiche “aperte” ha dato un’immagine divisa della Chiesa. 

«Il Papa ha voluto smorzare i toni di una discussione che rischiava di diventare un braccio di ferro tra Vescovi e Governo. Francesco era già stato messo a conoscenza dell’azione messa in campo dalla Conferenza e, solo qualche giorno prima, egli stesso aveva parlato di una Chiesa che non può essere virtuale. La comunità di fede ha due dimensioni fondamentali. Una verticale, cioè l’incontro con Dio, e una orizzontale, ovvero l’incontro con i fratelli. Da questo punto di vista, è evidente l’esigenza di ritornare a vivere i sacramenti. Ma, non di meno, si respira la necessità di tornare a vivere il rapporto con il prossimo, con le sue paure, i suoi problemi e le sue speranze. Capisco, dunque, il comunicato della CEI. E capisco il Papa, che ha parlato di prudenza e obbedienza. In altri termini, date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Una citazione del Vangelo che oggi si incarna alla perfezione nel momento storico. È necessario rispettare gli indirizzi dati dal Governo, ma sia data la possibilità alla Chiesa di ritornare comunità. Questo il messaggio. Tuttavia, mi pongo una ulteriore domanda. La Chiesa, in tutte le sue articolazioni, oggi sarebbe in grado di rispettare le misure anti contagio mettendo al riparo da rischio i fedeli? Non è un tema banale. Sia questa, dunque, una fase operativa e di semina. Di proposte e organizzazione, che prepari la strada alla ripartenza complessiva».

Fuori dal Covid – 19, che ruolo dovrà avere la Chiesa nel futuro?

«Nell’immediato troveremo una Chiesa che deve rimboccarsi le maniche e lavorare per ripensare l’intera vita ecclesiale e, in particolare, il rapporto con le categorie più fragili. Ma sarà altrettanto urgente darsi il compito di veicolare la speranza. Di fronte abbiamo un mondo disorientato. Forse qualcuno ostenterà l’ottimismo. Ma l’ottimismo è sempre una forzatura. Noi dobbiamo guardare alla speranza, che è una virtù teologale e che può darla solo Dio. A riguardo voglio ricordare l’episodio dei discepoli di Emmaus, un’immagine evangelica che ci ha fatto riflettere di recente. Il brano è noto: i due ritornavano da Gerusalemme con la delusione nel cuore. Le speranze su Gesù erano rimaste inchiodate sulla Croce. Ma Gesù risorto si accosta ai due discepoli e gradualmente, prima con le parole poi con la convivialità, dona loro una forza nuova per ripartire. E per ripartire proprio dalla Resurrezione. Ecco, con questa immagine, mi viene in mente il ruolo che deve avere la Chiesa oggi. Anzi tutto, accostarsi ad ogni uomo, fuori dai recinti sacri, per rimotivare la vita. Una Chiesa che, come diceva don Tonino Bello, abbia il coraggio di passare dai segni del potere al potere dei segni; una Chiesa come tenda da campo, come ripetuto da papa Francesco, che sappia ascoltarsi e ascoltare, perdonarsi e perdonare; che sappia annunciare nuovamente tra la gente e denunciare il male. In questa sua rinnovata dinamica, la Chiesa non deve mai abdicare dal suo ruolo fondamentale, che deve essere dito puntato verso il cielo. La vita non finisce qui, ma continua nell’eternità. Se c’è una cosa che abbiamo compreso da questo status emergenziale è proprio la finitudine dell’uomo. È bastato un nemico invisibile per far cadere idoli, capisaldi e pseudo valori che l’uomo aveva messo, e forse metterà, a fondamento della propria vita. Il ruolo della Chiesa dovrà essere quello di riabilitare i valori fondamentali della vita, che sono stati messi da parte per egoismo. Una Chiesa che scuota le coscienze e inviti tutti gli uomini di buona volontà a fare rifornimento di valori fondamentali, che sono l’amore, la solidarietà, la condivisione, l’uguaglianza, la convivialità, la libertà, la giustizia, la pace, il disarmo, il nuovo ordine economico. Ecco, questa la sfida per il futuro. Tutti siamo protagonisti».

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