Maxi operazione antidroga,23 arresti tra Calabria-Locride e il sud America

Maxi operazione antidroga,23 arresti tra Calabria-Locride e il sud America

Importavano centinaia di chili di cocaina ogni mese, si muovevano in almeno dodici Stati, spostavano milioni di euro in moneta sonante e avevano un giro d'affari che neppure gli specialisti del Goa della Guardia di Finanza di Catanzaro sono in grado di quantificare con precisione. All'alba è scattata l'operazione della Dda reggina che ha portato all'esecuzione di 23 arresti in mezza Europa e Sudamerica. Nell'inchiesta coordinata dal Procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, e dall'aggiunto Nicola Gratteri, sono finiti un potente gruppo di narcotrafficanti legati alla 'ndrangheta calabrese e alla mafia montenegrina. Gente che lavorava spalla-spalla oltre che con broker peruviani e brasiliani, con faccendieri inglesi e irlandesi, con importatori portoghesi e olandesi, e con un numero impressionante di piazzisti di "bianca". In poco più di un anno l'indagine ha portato al sequestro di oltre 600 chili di cocaina pura che dal Perù, attraverso i porti basiliani, arrivava a Gioia Tauro, per finire successivamente ovunque il mercato lo richiedesse. Un'altra tonnellata di droga è stata sequestrata in vari Paesi.

A capo dell'organizzazione Pasquale Bifulco, narcotrafficante di Natile di Careri, un paesino ai piedi dell'Aspromonte nella Locride. Con lui il suo braccio destro Vito Zinghinì, pure calabrese, e il montenegrino Vladan Radoman. I tre finanziavano e organizzavano importazione di droga su larga scala, e questo anche grazie ai contatti diretti con il "Chapo", un personaggio che non è stato possibile identificare ma che certamente lavorava per conto dei maggiori cartelli colombiani.

Il gruppo poteva contare su una rete consistente di uomini che in diverse fasi svolgevano ruoli ben definiti. In Perù i carichi venivano preparati per essere trasportati a San Paolo in Brasile, qui grazie alla complicità di Maria De Fatima Stocker, titolare di una società di brokeraggio, la merce veniva nascosta in container poi stivati sulle grandi navi che attraversano l'oceano verso Gioia Tauro. Durante il viaggio ai calabresi arrivavano le coordinate della nave, il numero del container e la data d'approdo. Nel giro di qualche giorno i finanziatori provvedevano al pagamento del carico consegnando centinaia di migliaia di euro agli emissari dei narcotrafficanti sudamericani che arrivavano in Calabria o con i quali si fissavano appuntamenti a Napoli, Roma e Milano. Il resto avveniva al porto di Gioia Tauro, dove c'erano mani amiche che aprivano i contenitori d'acciaio appena sbarcati sui moli, tiravano fuori i borsoni con la coca e richiudevano tutto con dei sigilli contraffatti. Le partite di droga superavano raramente i 100-150 chili, ma il flusso era costante. La merce poi veniva piazzata in mezza Europa e, soprattutto, nel nord Italia, dove c'erano compratori che si approvvigionavano di volta in volta a seconda della richiesta delle piazze.

Una struttura complessa, ma efficientissima. Bifulco e i suoi uomini si muovevano con disinvoltura ovunque. Le polizie di mezzo mondo lo hanno individuato e fotografato oltre che in diverse parti d'Italia, anche in Spagna e Brasile. Nelle telefonate intercettate della Guardia di finanza si parla di viaggi per chiudere affari a Lima. E si parla anche di soldi, di tanti soldi. Per un carico di 50 chili di coca purissima sarebbero stati pagati fino a 850 mila euro in contanti. Altri 400 mila euro furono consegnati a Napoli a saldo di un altro affare. I soldi non mancavano mai, e anche se qualche carico andava perduto il business andava avanti. Dopo i sequestri, i narcotrafficanti buttavano via le schede telefoniche, bonificavano gli ambienti per essere certi che non ci fossero microspie e poi tutto ricominciava.

Il narcotraffico si evolve. L'operazione ha messo in luce come stia cambiando il sistema per far entrare in Europa la cocaina in arrivo dal Sudamerica. La "roba" arriva sempre attraverso l'oceano via mare, ma non è più nascosta tra casse di frutta, in blocchi di cemento e tra tronchi d'albero. E neppure i carichi sono più quelli di una volta, fatti di tonnellate di "bianca" come fino a una decina di anni addietro. Oggi la 'ndrangheta importa in maniera diversa. Più snella e meno rischiosa, in modo che la perdita di una partita di droga eventualmente intercettata dalle dogane o dalle forze dell'ordine non crei particolari danni.

Il sistema è semplice. In America Latina si contratta l'acquisto attraverso dei broker direttamente collegati con i cartelli dei produttori. Dalla Colombia in genere la cocaina arriva a ridosso di qualche porto meno controllato di Paesi come il Brasile o l'Argentina. Sul posto c'è sempre una società di brokeraggio o di servizi vari che opera all'interno degli scali. Sono loro a individuare o degli spedizionieri complici, oppure direttamente delle navi porta container dirette nei porti europei.

Quando si tratta di 'ndrangheta l'obiettivo è quasi sempre far arrivare la droga a Gioia Tauro. I panetti da un chilo l'uno vengono sistemati in borsoni poco prima di chiudere i container e di sigillarli. Assieme alla droga, che non è mai più di 100 chili per volta, viene messo anche un sigillo falsificato identico a quello che viene posto sui portelloni d'acciaio dopo la loro chiusura. Poco dopo la partenza della nave gli acquirenti ricevono via mail le indicazioni della rotta, la data di arrivo al porto e il numero di codice del contenitore da aprire. Con i dati in mano gli acquirenti pagano il dovuto ai fornitori, operazione che avviene quasi sempre in contanti sul suolo Italiano, oppure estero su estero tra paradisi fiscali. Sui moli calabresi entrano in azione gli "amici" dei clan. Gente che lavora nel porto e che ha libero accesso alle banchine. Il container in questione viene sistemato in "maniera comoda", evitando cioè che finisca impilato dalle gru troppo in alto. Di notte il carico viene aperto, si tira fuori la droga, e si richiude tutto con il sigillo falso. In questa maniera il container   riprende la sua destinazione pieno della merce più diversa. La droga viene quindi portata fuori dall'area portuale in macchina da personale che difficilmente viene controllato. Una volta consegnata agli acquirenti, a loro volta la spediscono in quantitativi di alcuni chili alle piazze di spaccio di mezza Europa. Ogni passaggio prevede il pagamento del protagonista, ognuno ha la sua parte, che può essere corrisposta in droga oppure nell'equivalente in denaro.   

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