La Dia sequestra beni per 125 milioni a Dominique Suraci e all'imprenditore Giuseppe Crocè

La Dia sequestra beni per 125 milioni a Dominique Suraci e all'imprenditore Giuseppe Crocè

Undici supermercati del gruppo Simply, Punto Sma e Spaccio alimentare, 18 società  della natura più varia – dagli immobili alle lotterie, passando per la grande distribuzione – sparse fra Reggio, Milano e Gioia Tauro, cinque trust, 6 immobili di pregio e ancora disponibilità finanziarie, conti correnti, polizze assicurative e dossier titoli: è un maxi sequestro del valore di 125 milioni di euro quello disposto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su proposta della locale procura ed eseguito in queste ore dagli uomini della Dia, che hanno sviluppato l’indagine per ordine dei pm antimafia.

Dalle prime luci dell’alba, gli uomini del colonnello Ardizzone stanno procedendo ad apporre i sigilli ai beni societari e personali dell’ex consigliere comunale della lista “Alleanza per Scopelliti” Domenico Giovanni Suraci, meglio noto come Dominique, già coinvolto in diverse inchieste antimafia, e dei noti imprenditori reggini Giuseppe e Barbara Crocè. I tre sono tutti imputati nel procedimento Assenzio-Sistema, scaturito dall’operazione che nel luglio del 2012 ha svelato come il clan De Stefano-Tegano abbia per anni drogato il sistema della grande distribuzione a Reggio Calabria e provincia.
Cuore dell'inchiesta è l'intricata storia del fallimento della Vally Calabria, società che a metà degli anni 90 gestiva una catena di discount tra Reggio e provincia, prima controllata da una cordata di "imprenditori" tra i quali Dominique Suraci, considerato il referente politico imprenditoriale delle 'ndrine nell’affare, e successivamente passata pressoché interamente in mano all'ex assessore che, attraverso società a lui direttamente – seppure non formalmente – riconducibili, permetterà l'infiltrazione di una pluralità di ditte e società espressione diretta di sodalizi criminali cui affiderà le forniture più diverse. Ma alla Vally – ha dimostrato l'inchiesta condotta dall'ex pm della Dda reggina Marco Colamonici e portata a termine dal sostituto Stefano Musolino – la  spartizione degli affari tra clan diversi a Reggio città non era solo questione di forniture. Gli uomini dei clan – ipotizza l’inchiesta – erano saldamente presenti anche nel gruppo dirigente. In questa veste non solo avrebbero beneficiato di indebite erogazioni di contributi pubblici, ma anche di sostanziali “sconti” erariali. 

Suraci, amministratore di fatto di una pletora di aziende operanti nel settore della grande distribuzione formalmente intestate a suoi prestanome, aveva stipulato numerosi contratti di acquisto in leasing di beni strumentali alle attività aziendali – i cui importi si erano rivelati di gran lunga maggiorati rispetto ai reali prezzi di mercato, quando non addirittura relativi a forniture in realtà mai avvenute – che permettevano alle aziende di beneficiare di un risparmio sul versamento di varie imposte pari all’entità dell’investimento stesso, come previsto dalla legge che disciplina il credito d’imposta. 
È in questo quadro che si colloca la posizione di Giuseppe e Barbara Crocè, considerati longa manus dell’ex consigliere Suraci, come formalizzato – sostengono i magistrati della Dda reggina – dalla cessione delle quote della Sgs group, la società di gestione dei supermercati che i clan hanno utilizzato come cavallo di cavallo di troia per entrare e colonizzare la grande distribuzione. "In questo nevralgico momento della successione nella direzione dell'impresa – scriveva il gip  nell'ordinanza di custodia cautelare –, Crocè si trova a fronteggiare la situazione precostituita dal Suraci Domenico Giovanni e, in maniera analoga, ha ritenuto di perpetuare meccanismi di operatività illecita tentando, tuttavia, di renderli più sofisticati, meno grossolani di quanto aveva saputo fare il Suraci, specie con riferimento alle cointeressenze delle cosche mafiose con cui quest'ultimo aveva stabilito il pactum sceleris che aveva consentito loro di prosperare economicamente e di ulteriormente imporsi sul territorio".
"All'esito della successione dei Crocè – spiegava sempre il gip Domenico Santoro – nella direzione dell'impresa, non si siano registrati mutamenti negli accordi illeciti intercorsi tra il Suraci ed i rappresentanti della cosca Tegano, ma solo una modifica delle modalità esecutive di quei patti, sicché il concorso esterno alla cosca Tegano, realizzato tramite la strumentalizzazione della Sgs Group Srl, già accertato in capo a Suraci Domenico Giovanni, sarebbe proseguito, senza soluzione di continuità, con una sofisticazione delle modalità esecutive (tali, cioè, da renderlo più occulto e, perciò, più subdolo) quando l'impresa è passata sotto il controllo formale e sostanziale degli odierni indagati". 
Di fatto, Crocè insieme alla figlia Barbara, presa piena coscienza degli artifici contabili del suo ex socio Suraci nella gestione ddella Sgs group per mascherare il drenaggio di liquidità in favore delle imprese della cosca De Stefano-Tegano, non si era preoccupato di porvi rimedio, ma aveva solo cercato di perfezionarli, per metterli al riparo da possibili ripercussioni giudiziarie. Inoltre, hanno svelato le intercettazioni, l’assidua frequentazione con soggetti in qualche modo contigui a contesti di criminalità organizzata non era riservata esclusivamente agli “arcoti” ma era e aperta anche alle altre consorterie operanti sul territorio.
Frequentazioni e soprattutto rapporti societari che hanno permesso ai tre di accumulare – hanno svelato le indagini della Dia – un ingentissimo patrimonio societario e personale ingiustificabile alla luce della notevole sproporzione tra capacità reddituali e gli  investimenti effettuati, se non ipotizzando l’origine illecita dei capitali investiti.
 

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