Locride, sulla 106 a passo d’uomo: cosa chiedono i trattori in protesta

Locride, sulla 106 a passo d’uomo: cosa chiedono i trattori in protesta

La protesta dei trattori dilaga anche nella Locride. Ma quali sono i motivi?

Se in questi giorni per spostarvi da Locri a Bovalino avete impiegato più di un’ora, il motivo è la protesta dei trattori. Sull’onda della mobilitazione europea ed italiana, anche in Calabria gli agricoltori sono scesi per strada rallentando il traffico con i loro pesanti mezzi. Ma perché protestano?

LA PAC EUROPEA

La protesta delle ultime settimane è l’acqua che trabocca da un vaso pieno di problemi. Si tratta di una vicenda estremamente complessa, l’intreccio di tanti fattori economici, politici e ambientali.

La PAC (Politica Agricola Comune Europea) dalla sua istituzione, nel 1962, sostiene lo sviluppo e la produzione agricola dei Paesi Membri. Questa impiega circa il 39% del bilancio dell’UE e da un lato finanzia direttamente le aziende agricole e agisce sul mercato, dall’altro si occupa di favorire lo sviluppo rurale.

Negli anni la PAC ha dato grande sostegno all’economia e alla produzione agricola comunitaria. Ma i suoi fondi sono distribuiti in base agli ettari di terreno di cui si dispone; quindi, a beneficiarne sono sempre state le grandi aziende. Ecco dunque il primo tema, ovvero l’equità di distribuzione dei finanziamenti. Le piccole e medie aziende da tempo fanno fatica a sopravvivere e non di rado sono costrette a chiudere.

Dalla produzione e dal costo dei prodotti agricoli dipendono anche gli allevatori. Il mangime per il bestiame si produce nei campi, le economie sono strettamente intrecciate.

IL GREEN DEAL

Sempre più consapevole dell’aggravarsi della crisi climatica e della sua profonda connessione con le filiere produttive, l’Unione Europea ha sostenuto dal 2020 il Green Deal, un patto che mira a promuovere politiche economiche ed ambientali sostenibili per raggiungere la neutralità climatica dell’Unione Europea entro il 2050. Per neutralità climatica s’intende l’equilibrio tra l’anidride carbonica emessa e quella assorbita entro un determinato perimetro geografico.

Oltre che sulla biodiversità, sui trasporti ecosostenibili e le energie rinnovabili, il Green Deal interviene sulla sostenibilità delle filiere agroalimentari europee. Tra gli obiettivi c’è quello di ridurre sensibilmente l’utilizzo di prodotti chimici nelle varie fasi dell’agricoltura e garantire gli adeguati riposi dei campi, facendo riposare ogni anno (quindi rendendolo improduttivo, senza coltivazioni) il 4% dei terreni, così da consentirne la rigenerazione e favorire la prolificazione di insetti che con le loro attività di impollinazione sono indispensabili alla vita sulla terra.

Proprio queste direttive del Green Deal sono state le gocce che hanno fatto traboccare il vaso e hanno scatenato le proteste degli imprenditori agricoli. Per i ritmi richiesti dal mercato e dalla grande distribuzione, ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche significa non avere la garanzia del raccolto. Allo stesso modo, tenere un terreno a riposo significa rinunciare a produrre merce da vendere.

Il grande paradosso è che in passato, forse sottostimando effetti e conseguenze, la PAC ha involontariamente finanziato e sostenuto un’agricoltura non sostenibile, senza creare alternative. Il Green Deal che oggi viene visto come il male da sconfiggere è in realtà la soluzione, ma arrivata troppo in ritardo e quindi inefficace.

NOI COSA POSSIAMO FARE?

Se è vero che al consumatore frutta e verdura costano care, i produttori li vendono al ribasso. Grossisti, trasporti, imballaggi, distribuzione: dal produttore al consumatore gli intermediari della filiera sono tanti, ciascuno col suo margine di guadagno. A trarne il maggior beneficio probabilmente sono proprio questi, insieme alle grandi multinazionali chimiche di pesticidi, non noi o gli agricoltori.

La macchina agroalimentare è corrotta e se i problemi sono così articolati la soluzione non può essere semplice. Da un lato la politica ha il dovere di mediare, identificare i punti critici ed intervenire. D’altro canto, i consumatori (cioè noi) hanno il dovere di acquistare consapevolmente, privilegiando la filiera corta. Un prodotto che ha un prezzo più basso ha in realtà un costo nascosto in termini di sostenibilità ambientale e manodopera.

E i produttori? Sarebbe sciocco sostenere che gli agricoltori sono contrari alle politiche ambientali per avere un maggiore guadagno. Loro lavorano con suolo, aria e acqua e sono i primi testimoni del cambiamento climatico, così come i primi che possono prendersi cura del pianeta.

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