Bellu lavuru 2", a giudizio tutti gli imputati

Fatta eccezione per Giuseppe Palamara, autista della D’Aguì Beton Srl, che ha patteggiato la pena, gli imputati del procedimento "Bellu Lavuru 2" dovranno tutti presentarsi davanti al giudice il prossimo 28 febbraio. Nove giorni prima – il 19 – inizierà invece in procedimento in abbreviato per chi come il boss di Africo, Giuseppe Morabito, e Giuseppe Fortugno, 39enne di Melito Porto Salvo, ha scelto il rito alternativo.
Ma a giudizio non dovranno andare solo più o meno importati uomini dei clan della Jonica, ma anche chi con loro – secondo l'accusa – per anni ha fatto affari. Per il gup, Cinzia Barillà, dovranno affrontare il giudizio anche i manager di Condotte d'acqua spa – il direttore di cantiere, l'ingegnere Antonino D'Alessio, il direttore tecnico Cosimo Claudio Giuffrida, Sebastiano Paneduro, project manager del colosso delle autostrade, e il direttore contabile Rinaldo Strati – contro i quali la società nel corso delle precedenti udienze si è costituita parte civile. Medesima strada ha scelto l'Anas, parte civile nel procedimento che vede imputato il suo ex direttore dei lavori sulla 106, Vincenzo Capozza.
Insieme a loro, è stato rinviato a giudizio anche il boss Giuseppe Morabito, il “Tiradritto”, già detenuto per altra causa presso la casa circondariale di Parma, ma che stando alle ipotesi investigative è a capo della struttura mafiosa formata da esponenti di primo piano delle cosche Morabito, Maisano, Rodà-Talia e Vadalà – "la base" cui i manager di Condotte avrebbero spalancato le porte dei propri cantieri sulla statale 106, assicurando loro un subappalto da 7 milioni e 400mila euro.
Questa la cifra che Sebastiano Paneduro, Rinaldo Strati, Antonino D'Alessio e Cosimo Giuffrida, i dirigenti finiti in manette, si sarebbero impegnati a versare sia alla Imc, società che orbita nella galassia del clan Morabito, sia alla D'Agui beton srl, riconducibile ai Vadalà, Maisano, Rodà e Talia. «Sostanzialmente Condotte – si leggeva nell’ordinanza di custodia cautelare – ha avuto cura di dividere esattamente in parti uguali la fornitura di calcestruzzo necessario tra la D'Agui beton srl e la Imc», ditte che sarebbero diretta espressione dei clan. Un intervento non dettato dall'imposizione – sostengono gli inquirenti – ma dalla complicità derivante dal comune intento di fare profitto. Prova ne sia il trasferimento sulla Jonica – ufficialmente come capo cantiere, in realtà come “conoscitore d'area” – del geometra Pasquale Carrozza, anche lui finito in manette, che per Condotte in precedenza lavorava sull'A3, nel lotto Serre – Mileto già segnalato dalle Prefetture di Reggio Calabria e Vibo Valentia come infiltrato da società in “odore” di mafia. Sarebbe stato lui – originario della zona – il tramite fra le 'ndrine e gli alti papaveri della società, che ai clan hanno continuato a garantire il mantenimento dell'appalto nonostante la Prefettura avesse inviato più di una segnalazione a carico delle ditte che Condotte aveva scelto come partner. È un quadro inquietante quello che emerge dall'inchiesta "Bellu Lavuru 2" che il pm sintetizza così: «Le grandi imprese nazionali che operano in Calabria hanno perfetta consapevolezza di lavorare in condizioni “anomale” per la presenza della ‘ndrangheta e mettono in conto di andare incontro a vari rischi: subire la violenza mafiosa verso le cose o le persone oppure esporre i loro uomini alle conseguenze dell’azione di contrasto della magistratura. Scopo primario che esse hanno è quello di realizzare i lavori guadagnando quanto più possibile e sovente capita che, a fronte dell’esigenza di perseguire la massimizzazione del profitto, la realizzazione di buone infrastrutture, con materiali idonei e seguendo le procedure indicate nel capitolato, non siano loro obiettivi prioritari, preferendo, piuttosto, istituire un rapporto di scambio con i gruppi criminali che controllano il mercato locale delle forniture e della manodopera».
Una situazione che aveva portato anche il gip Santoro – che all'epoca ha accolto la richiesta di custodia cautelare avanzata dal pm Lombardo – ad annotare che i protagonisti della vicenda hanno portato avanti per lungo tempo le proprie condotte criminali «con buona pace dello Stato che assiste all’ennesima occasione in cui opere destinate a migliorare le condizioni di vita della comunità calabrese e la stessa economia di una terra sfigurata dalla pervasiva presenza della criminalità organizzata sono da quest’ultima utilizzate per ingrassare le sue già traboccanti casse.
fonte corrieredellacalabria