Reggio C.,ignoti si introducono nell'archivio della DDA

Reggio C.,ignoti si introducono nell'archivio della DDA

Il Cedir di Reggio Calabria sede della Procura

Forse non hanno portato via nulla. Forse... Forse era solo un atto dimostrativo. Forse... Sta di fatto che qualcuno ha fatto irruzione, senza incontrare soverchie difficoltà, dentro l'archivio della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria dove finiscono i fascicoli contenenti i cosiddetti “atti relativi”; i fascicoli delle pratiche archiviate e i fascicoli con le cosiddette “intercettazioni preventive”, quelle finalizzate alla ricerca dei latitanti o alla prevenzione di reati di estrema gravità.
Qualcuno, in sostanza, ha avuto libero accesso all'archivio più delicato all'interno di quello che dovrebbe essere un ufficio tutelato dalla massima sicurezza visto che si occupa di contrastare quella che a parole viene indicata come la più pericolosa forma di criminalità organizzata ma, nei fatti, viene snobbata da sempre maggiori e per nulla disinteressate “disattenzioni istituzionali”.

IL FATTO Martedì scorso alcuni funzionari segnalano al procuratore reggente, Ottavio Sferlazza, che c'è stato un accesso “clandestino” all'interno dell'archivio “Atti relativi”. Ufficio che è collocato al quinto piano del Cedir nell'ala destinata agli uffici giudiziari. La Procura della Repubblica occupa anche il sesto piano, dove sono allocati gli uffici dei magistrati e le principali cancellerie, nonché il registro generale.
Al quinto piano, invece, pochi uffici e molti archivi, tra questi quello “visitato” probabilmente nel corso dell'ultimo weekend. Chi vi ha fatto ingresso non ha certo badato a nasconderlo. I “visitatori” hanno forzato una serratura, peraltro di quelle tipiche degli uffici “normali” e poi ha anche lasciato aperte alcune porte d'accesso.

LA SEGNALAZIONE Avuta una relazione di quanto accaduto, il procuratore reggente ha avviato le indagini che sono ora affidate a carabinieri e polizia di Stato. Inoltre, come sempre “a babbo morto”, da martedì anche il quinto piano del Cedir è piantonato dai carabinieri, cosa che solitamente viene riservata solo al sesto piano, dove come detto hanno i loro uffici i magistrati sia della Direzione antimafia che della procura ordinaria. Come dire si tutelano le persone, il che è giusto, ma le “carte” possono essere lasciate quasi incustodite.
Gli inquirenti tendono ad escludere che siano stati portati via fascicoli e carte da quei delicatissimi archivi, ma aspettano che siano i cancellieri e i magistrati che vi stanno lavorando a fornire la certezza che non c'è stato alcun “prelievo” dagli archivi in questione. «È questo – spiega un magistrato della Dda – un lavoro delicatissimo e che potrebbe durare a lungo. Lo è per via del fatto che mentre è abbastanza facile controllare, attraverso i registri, la mancanza o meno di un fascicolo (ma comunque parliamo di migliaia di faldoni), ben più difficile per non dire arduo, è verificare se dall'interno di qualche fascicolo siano stati portati via atti o documenti».

LE IPOTESI INVESTIGATIVE Partono dall'unico dato certo: chi ha fatto irruzione negli archivi della direzione antimafia conosceva bene luoghi e misure di sicurezza. Probabilmente era anche in possesso delle chiavi, quantomeno di quelle d'accesso al quinto piano. Poi si opera dentro un ventaglio di alternative: cercava delle carte ben precise? Aveva la necessità di far sparire atti prima dei cambiamenti ormai prossimi al vertice della Dda? Voleva mandare un messaggio e quindi non ha prelevato nulla, limitandosi solo a rendere evidente il suo “passaggio”?

L'INCHIESTA Attualmente è lo stesso procuratore reggente a coordinare le investigazioni. Uomini della scientifica hanno raccolto tracce e prelevato impronte, scattato fotografie e condotto rilievi sulle porte d'accesso. Si spera che un qualche aiuto possa anche venire dalle telecamere a circuito interno ma non  pare che vi siano grosse certezze sul punto ed anche questo, se confermato, apparirebbe alquanto singolare.

fonte corrieredellacalabria.it

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