Il Consiglio regionale difende (a pagamento) una legge che non c'è più

Il Consiglio regionale difende (a pagamento) una legge che non c'è più

Il consiglio regionale affida a un avvocato l'incarico di difendere una legge elettorale che non c'è più. Strano? Non per l'Ufficio di presidenza di Palazzo Campanella, che – lo scorso 8 luglio – al gran completo, ha deciso di andare alla guerra con il M5S calabrese, in particolare contro alcuni componenti del «Meet up del territorio della Regione Calabria», i quali – rappresentati dal legale Francesco Pitaro (titolare del ricorso dal quale è scaturita l'ordinanza del Tar che ha "costretto" la presidente "facente funzioni" Stasi a indire le elezioni – «hanno mosso alcuni rilievi in relazione alla legge elettorale approvata dal consiglio regionale della Calabria nella seduta del 3 giugno 2014 e ne hanno chiesto l'annullamento».

A volerla dire tutta, i grillini non sono stati gli unici a insorgere contro una norma passata alle cronache come il "Porcellissimum". Una "porcata" degna del miglior Calderoli, che prevedeva una soglia di sbarramento enorme al 15%.

Le chiavi ermeneutiche si sono sprecate per mesi. Interpretazione numero 1: la legge punta a estromettere dall'assemblea regionale il Movimento 5 Stelle, che per sua regola non sancisce alleanze con le altre forze politiche; interpretazione numero 2: il Consiglio ha approvato una legge chiaramente incostituzionale in modo da provocare l'intervento del governo davanti alla Consulta. Azione che si è verificata per davvero. Solo che poi il presidente Talarico e la maggioranza sono tornati indietro e – nella riunione dell'11 settembre – hanno apportato alcune modifiche (soglia abbassata al 8% per le coalizioni e al 4 per le singole liste) che fanno cadere la materia del contendere e, soprattutto, riportano la situazione elettorale a un maggiore equilibrio. Ma, evidentemente, per l'Ufficio di presidenza è ancora il caso di difendere una legge che il Consiglio stesso ha, nei fatti, bocciato, pagando un avvocato scelto all'uopo. Si tratta del legale "di fiducia" Rosario Infantino, uno dei professionisti più gettonati malgrado la nutrita schiera di avvocati di cui può avvalersi l'assemblea regionale. Infantino «risulta in possesso dei requisiti di idoneità e qualificazione anche specialistica per l'espletamento dell'incarico di patrocinio legale dell'ente», come scrive il segretario generale del Consiglio, Carlo Pietro Calabrò, nel provvedimento firmato il 22 luglio scorso.

Perché tutto questo zelo da parte di Talarico e degli altri membri della presidenza? Forse perché anche «la stampa locale, in una serie di articoli, riporta i rilievi inerenti ai contenuti della legge elettorale»? I pentastellati calabresi, insomma, avrebbero danneggiato l'immagine del parlamentino calabrese che, per la verità, è stato il centro propulsore di scandali che hanno fatto il giro del Paese e di cui si sono occupati i maggiori media nazionali. In primo luogo per il fatto che ha continuato a riunirsi malgrado – lo scorso 3 giugno – avesse "preso atto" delle dimissioni del governatore Scopelliti che, per statuto, determinano il «congedo», cioè lo scioglimento, dell'assemblea; in secondo luogo proprio a causa del "Porcellissimum", etichettato dai giornali d'oltre Calabria – su tutti dal Corriere della Sera – come una norma incostituzionale e fortemente antidemocratica.

Infantino dovrà ora tutelare «i diritti e gli interessi del consiglio regionale, lesi dagli oltraggiosi rilievi e osservazioni contenuti nell'istanza proposta da taluni appartenenti al Meetup del territorio Regione Calabria, acquisita in data 24 giugno 2014». Dovrà difendere una legge che non esiste più. A uno scopo: tutelare l'onore di un Consiglio che ha fatto di tutto per sbertucciarsi da solo.

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