Decreto cura Italia ed il bluff dello svuota carceri

Decreto cura Italia ed il bluff dello svuota carceri

 

“Il grado di civiltà di un Paese (e le sue bugie) si misurano osservando le sue carceri”  

La celeberrima frase di Voltaire, spesso inflazionata quando si discute di carceri, anche oggi, giunge quale opportuno spunto di riflessione su quanto sta accadendo negli istituti di pena italiani.

L’emergenza dovuta alla diffusione del virus COVID-19, che il nostro Paese sta affrontando, non poteva che avere drammatici ed auspicabili riflessi-  anche - sulla popolazione carceraria.

Le rivolte dei giorni scorsi hanno portato all’attenzione dei media annose questioni, quali il sovraffollamento, il sempre maggiore numero di suicidi in carcere, le discriminazioni subite dai detenuti stranieri, la scarsa tutela del diritto alla salute e del diritto all’affettività e – più genericamente – l’effimero fine rieducativo della pena, che il rischio di contagio da corona virus ha – soltanto – contribuito a palesare in tutta la loro materialità.

Alla luce di un quadro drammatico, attesissime erano le misure che il Governo stava approntando attraverso la c.d. legislazione emergenziale e che – anche questa volta – si sono rivelate un cinico bluff [così definite da Giandomenico Caiazza, Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane].

Ebbene, l’art. 123 del Decreto c.d. Cura Italia, che avrebbe dovuto regolare la materia carceraria, di fatto non prevede alcuna azione concreta e risolutiva per far fronte all’emergenza corona virus nelle carceri italiane.

La norma in questione, infatti, prevede che la detenzione domiciliare sia concessa a chi ha una pena residua da espiare non superiore a 18 mesi e sia subordinata alla effettiva disponibilità del braccialetto elettronico. Ed ecco il citato bluff.

E’ notoria, difatti, oltreché questione assai dibattuta, la indisponibilità in capo all’amministrazione penitenziaria dei dispositivi di controllo a distanza [c.d. braccialetti elettronici], sempre per motivi ricollegabili alla inerzia dell’Esecutivo, più volte sollecitato dall’Avvocatura, ed in tempi non sospetti, sul merito di tale questione.

Dunque, di fronte all’esigenza di rispondere velocemente alla crisi del sistema carcerario, tra l’altro annunciata da tempo, si adotta un provvedimento insufficiente ed inapplicabile in concreto.

Forse il timore del giudizio del popolo dei giustizialisti, per un provvedimento che sarebbe stato – effettivamente – ‘svuotacarceri’ è prevalso ancora una volta.

Il Guardasigilli Bonafede ha – sicuramente - sottovalutato la gravità dei rischi che un’ampia diffusione del virus comporterebbe non soltanto per i detenuti, ma anche per chiunque orbiti intorno agli istituti di pena: avvocati, agenti della polizia penitenziaria, personale amministrativo, personale docente, personale sanitario, ecc.

Ed intanto, giunge la notizia di un primo contagio di un detenuto all’interno del carcere di Voghera e del decesso di un agente in servizio presso il carcere di Bergamo.

L’abbaglio è, evidentemente, di quelli importanti ma è ancora possibile correggere il tiro durante l’iter di conversione in legge, eliminando la condizione ostativa del controllo a distanza, fino a che la disponibilità degli strumenti non sia in grado di soddisfare l’intera domanda ed agevolando l’accesso alle misure alternative alla detenzione ed ai permessi premio.

La salute pubblica è un bene che va tutelato con forza in ogni ambito della società, della quale – sebbene qualcuno se ne dimentichi - fa parte anche la popolazione carceraria.

Avv. Giorgio Raffaele Loccisano 

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