La Pietà al tempo del Covid-19

La Pietà al tempo del Covid-19

Il Covid-19, disturbando le coscienze, ha portato via qualsiasi consenso, rafforzando la solidarietà, che speriamo ci lasci un cuore più tenero. E’ vietato riunirci a preparare succulenti menù e organizzare conviviali. In isolamento a casa o ricoverati negli ospedali, tentiamo di conservare i buoni sentimenti, che ci donano lampi di emozioni. Nelle marce legittimate verso i supermercati e le farmacie, immersi nell’atmosfera ostile, sentiamo imbarazzo nel richiamare alla mente i racconti dei telegiornali e le riprese televisive in cui gli straccioni masticano erbe per riempire lo stomaco.

In Tv, guardiamo con attenzione i programmi dove presentatori e conduttori, leader e attori, con l’aria da missionari, predicano strategie e comportamenti per sconfiggere il nemico invisibile, ostentando armi, come frecce spuntate, e invitando a donare: “Ho dato, ora tocca a te”. Il teleschermo sembra il carrello dei bolliti, che fuma bontà. Nel contempo, sentiamo voci di morte, di aumento delle difficoltà di sopravvivenza, ma il coro dei dolenti si perde in casa dove, sognando il frastuono giocoso dei bambini o le parole rassicuranti degli amici, aspettiamo di essere ottimisti in una realtà sempre più frammentata e difficile da codificare. Inutile aspettare le tenerezze della prossima Pasqua, la Resurrezione - non celebrata - non riuscirà a ridistribuire la tanto attesa pace.

Intanto, nelle città e paesi assediati, le persone “bruciano” sotto gli effetti del virus Covid-19, ed è impossibile capire cosa succede dietro le facce dei politici e dietro le ansie di “Pomeriggio Cinque”, serie Tv condotte da Barbara D’Urso, che continua a ricordare le disgrazie degli altri, spesso senza orecchio. E’ come se dal cielo cadessero bombe e lasciare segni indelebili sui bambini, sui giovani, sugli adulti, sugli anziani. Le riprese televisive li mostra sofferenti e/o morenti nei nostri ospedali dove mancano idonee strutture e mezzi, nonché prive di personale sanitario “decimato” dal virus, ma anche frutto dei c.d. tagli alla Sanità, iniziati sin dagli anni ’80 e ancora non terminati.

Ai moribondi è vietato ricevere l’estrema unzione e ai morti le caritatevoli esequie per paura del contagio, inviandoli “soli” ai forni crematori, per ragioni di igiene, o ai Cimiteri, i più fortunati. Camminiamo idealmente su uno stradone verso un incerto destino dove le vittime e gli oppressi per caso dal virus, smarrita la salute, sembrano un mappamondo di carne marcia. Ci diranno: “Scusa per quello che è accaduto”, ma chissà se basterà? Mi chiedo, che ne sarà stato della ragazzina cinese dai grandi occhi e dal faccino pallido, che si prostituiva per dare da mangiare ai fratellini?

C’è una fotografia che sembra il simbolo dell’ultimo conflitto: Varsavia 1942. Un ragazzino del ghetto calza un berrettino di panno e indossa un cappotto troppo corto, che lascia le gambe magre scoperte; ha lo sguardo sgomento e le braccia alzate: é la resa! La memoria si accorcia, quando facce di cui non conosciamo il nome si dissolvono in spazi sconosciuti. I capi della politica, per giorni, ci hanno illuso di averla scampata e noi, confusi e delusi, stendiamo i nervi nella poltrona della Tv, pronti a schiacciare il telecomando quando una faccia disturba il nostro torpore. E’ faticoso essere candidi come colombe e, allo stesso tempo, astuti come i camaleonti. Vale a dire: vivere con la disponibilità e la spontaneità che ci fa sorridere agli sconosciuti e, allo stesso tempo, allenarci a stare in guardia. E’ l’eterna lotta tra il bene e il male, dentro e fuori di noi.

Non abbiamo scelte, resistiamo perché non finiscano nell’immondizia i propositi di tornare ad essere più buoni, proprio quando il cuore si riaprirà alla normalità. Il rischio è di vivere accanto a persone meravigliose e non accorgersi che stiano decomponendosi per niente, ma la pietà non è a cronometro.

Cosimo Sframeli

 

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