'Ndrangheta, arresti in Calabria e nella Locride.

'Ndrangheta, arresti in Calabria e nella Locride.

Nel corso dell’operazione dei carabinieri, chiamata convenzionalmente “Saggezza”, sono state sottoposte a sequestro preventivo quattro imprese attive nel settore edile e del taglio boschivo, con relativo patrimonio immobiliare, per un valore economico stimato in circa un milione di euro. Sono state così poste sotto sequestro: la “Mar srl unipersonale” poi “Mar srl”  con sede ad Antonimina in contrada Santa Croce; l’impresa individuale “La radica” di Fazzari Teresa, con sede ad Antonimina in contrada Bagni; l’impresa individuale “Le vie del legno” di Pollifroni Carmine, con sede ad Antonimina in contrada Bagni; la “Due mondi legnami srl”. Le indagini compiute dai carabinieri, coordinati dalla locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia - nell’ambito del l’operazione “Saggezza”, si sviluppano con attività intercettive e di osservazione, controllo e pedinamento di alcuni personaggi inseriti nel contesto malavitoso locrese; hanno consentito di appurare l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso inserita nel più ampio quadro criminale dell’associazione denominata ‘ndrangheta, in aderenza con le risultanze dell’indagine convenzionalmente denominata “Il Crimine”. Il sodalizio oggetto di indagine è dotato di una struttura guidata che sarebbe stata guidata da Vincenzo Melia, 83 anni, di Platì, residente ad Ardore, “capo corona”, affiancato da due “capi consiglieri”, Nicola Nesci, 57 anni, di Ciminà e Nicola Romano, 64 anni, di Antonimina, e due “consiglieri”, indicati nel corso delle intercettazioni ambientali in Giuseppe Varacalli, 59 anni, di Ardore e Giuseppe Siciliano, 62 anni, di Ardore.
Il gruppo di indagati a cui si è fatto cenno costituiva una articolazione intermedia, posta superiormente ai “locali”, le unità territoriali di base, e articolata sul territorio in modo da “associare” alcune piccole realtà territorialmente simili. Tale struttura veniva definita dai due principali indagati, Nicola Romano e Vincenzo Melia, con il nome di “Corona”. In effetti alcuni dei componenti, sicuramente Nicola Nesci, Giuseppe Raso, 71 anni, di Cittanova e residente ad Antonimina e Giuseppe Varacalli, venivano espressamente indicati come assegnatari della funzione di “capi locale”, ciascuno per un preciso ambito territoriale, mentre gli altri erano individuati grazie alla ricostruzione effettuata nel corso delle attività investigative. ''Si tratta di una indagine che occupa un periodo temporale vasto e che ha permesso di far emergere, in tutta la sua pericolosità, la capacità della 'ndrangheta di permeare e condizionare gli apparati amministrativi pubblici, imponendo con minacce ed attentati, la propria volontà parassitaria''. Ha riferito, nel corso della conferenza stampa, il procuratore aggiunto della Dda, Nicola Gratteri, che con il sostituto procuratore Antonio De Bernardo, ha coordinato l'inchiesta. L'indagine - ha proseguito Gratteri - condotta efficacemente dai carabinieri con strumenti di intercettazione telefonica e con i sistemi classici di verifica sul territorio, è stata resa possibile proprio grazie alla capillarità della presenza sul territorio dell'Arma con le sue Stazioni, e rende lucidamente uno spaccato di attività criminali che convergono verso un unico obiettivo: un asfissiante controllo del territorio, perseguito anche con il condizionamento dell'elezione degli organismi di governo della Comunità montana Aspromonte orientale. Come si evince dalle risultanze investigative e, nel caso specifico, la ristrutturazione delle terme di Antonimina, tutto doveva passare attraverso accordi garantiti dai capi 'locale'. Finanche il taglio dei boschi ed il commercio del legname, i lavori di messa in sicurezza delle fiumare, era 'pratica' che doveva essere affrontata dai capi bastone attraverso i mezzi classici di intimidazione: furti nei cantieri, incendi di autovetture di titolari di imprese''. L'accelerazione all'inchiesta è venuta anche grazie alla decisione di Rocco Varacalli e Rocco Marando, due indagati, di passare sulla sponda della giustizia, delineando i meccanismi decisionali interni alle loro cosche di appartenenza. I due hanno anche riferito di contrasti pericolosi, tanto da sfiorare un vero e proprio conflitto armato, tra Giuseppe Raso, detto ''l'avvocato'', che aveva la sua zona di influenza a Ciminà ed a cavallo dello Zomaro, e Nicola Romano, indicato dagli inquirenti come il boss di Antonimina.

fone reggiopress.it

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