Il pm: Crocitta si è servito delle cosche

Il pm: Crocitta si è servito delle cosche

“Non è un mafioso, ma ha favorito le cosche e se ne è servito per farsi pubblicità. Ha approfittato dei suoi pregressi rapporti con la Procura di Palmi e con gli avvocati per mettersi al servizio della 'ndrangheta e ci ha guadagnato. Lui stesso ha ammesso che per quelle perizie in alcuni casi si è fatto pagare 400 euro, se avesse svolto questa attività come consulente della Procura avrebbe guadagnato 7 euro e 30 centesimi ciascuna. La 'ndrangheta è stata più conveniente”. 
Sono toni duri e parole pesanti quelle che il pm di Reggio Calabria Giovanni Musarò riserva al perito Roberto Crocitta, accusato di aver “disinnescato” le conversazioni intercettate dagli investigatori su mandato della Dda reggina, per alleggerire la posizione di Antonio Dinaro, considerato organico ai Gallico, per Domenico Bellocco, figlio di Michele, dell'omonimo clan, e Francesco Pesce, dell'altra potentissima famiglia di Rosarno. Un “servizio” che per la Procura, Crocitta svolgeva su mandato delle famiglie dei diretti interessati e che si faceva pagare profumatamente, ma che oggi potrebbe costargli cinque anni di reclusione.


È questa la pena richiesta per lui dal pm Giovanni Musarò, che nel corso della sua breve ma pesantissima requisitoria ha ricostruito i quattro episodi di favoreggiamento che gli vengono contestati. Dialoghi finiti al centro di quattro procedimenti - "Crimine", "All Inside", "Arca" e "Cosa Mia", che non sarebbero mai stati modificati in maniera vistosa, ma alterati in modo da rendere dubbia l’identificazione di un soggetto, per stravolgere con pochi tocchi il significato di una frase, bollare come incomprensibile un passaggio magari pericoloso per gli uomini del clan. A incastrare il perito – ha ricordato Musarò, riportando le indagini che hanno condotto alle contestazioni mosse a Crocitta – è stata una conversazione intercettata in carcere tra Vincenzo Pesce e il figlio Savino, trascritta in maniera fedele dal tecnico incaricato, da cui emergerà che il clan poteva contare su una magica manina in grado di alterare le conversazioni “pericolose”. Ma questo, ha spiegato Musarò, non è che uno degli elementi di riscontro collezionati dalla Procura a sostegno delle pesantissime accuse mosse al perito. «Non avremmo chiesto la misura cautelare se non avessimo visto con i nostri occhi la falsità delle sue trascrizioni; la Dda - ha affermato il pm - ha proceduto con molta cautela, noi non vogliamo martiri». A nulla dunque sono servite le spontanee dichiarazioni che l’imputato Crocitta, assistito dall’avvocato Domenico Alvaro, ha chiesto e ottenuto di fare prima della requisitoria del pm. Come già durante l’interrogatorio di garanzia, il perito si è professato innocente, respingendo le accuse e spiegando che i contatti con gli uomini dei clan documentati dalla Dda avrebbero avuto mera natura professionale. Un intervento appassionato ma che non ha intaccato le convinzioni del pm e che il prossimo 1 aprile, quando si ritireranno in camera di consiglio, toccherà ai giudici valutare.
 

Tags