La Fortuna del Greco, dai racconti del nonno al romanzo: Vincenzo Reale si racconta
Un romanzo di sopravvivenza e speranza: in una Calabria lontana e preistorica, un uomo sogna di costruirsi una casa.
Tutta Italia dovrebbe conoscere la storia di Antonio il Greco. Perché la storia dell’ultimo secolo d’Italia passa per la vita di persone come lui, protagonisti e testimoni inconsapevoli, loro malgrado, di un mondo che cambia e che non sarà mai più lo stesso. La fortuna del Greco è il romanzo d’esordio di Vincenzo Reale, edito da Rubbettino e acquistabile online e in tutte le librerie d’Italia.
Ambientato in una Calabria lontana e preistorica, è un romanzo di sopravvivenza e di speranza. La storia di un povero e umile muratore figlio di vaccari che sogna di costruirsi una casa e un futuro. Il Greco era chiamato così perché veniva dalla Jonica e dicevano somigliasse ai bronzi di Riace. Era nato a Carafa Nuova, una cittadina dell’Aspromonte oggi disabitata. Tutti parlavano della sua fortuna: sopravvissuto alla fame, alla guerra, a una faida, ad avventure e disavventure.
Tutta italiana anche la storia del suo autore, Vincenzo Reale. Calabrese di seconda generazione, è nato a Grosseto, dove la famiglia originaria di Cittanova e Ciminà era emigrata negli anni ’80 dalla Locride, alla ricerca di fortuna e lavoro. Ma Vincenzo la Calabria la conosce bene, andava spesso a trovare i nonni che abitavano lì. Proprio le storie del nonno, racconti di un passato lontano e inafferrabile affascinano il nipote, che le ascolta con grande attenzione e ne fa tesoro.
Dopo gli studi universitari a Siena, Vincenzo si è trasferito a Milano. Oggi ci parla da Firenze, dove abita da più di due anni.
Chi era Antonio il Greco, il protagonista del romanzo?
«Antonio il Greco è stato un semplicissimo figlio di vaccai e pastori. Negli anni ha imparato l’arte della muratura e ne ha fatto il suo mestiere. Nato e cresciuto in un mondo quasi preistorico, magico, distante dai grandi avvenimenti storici anche se a lui coevi. Ha appreso della Seconda Guerra Mondiale solo quando n’è stato travolto. Nel romanzo non si accenna a Mussolini o al fascismo e tutti gli eventi storici sono citati ai minimi termini, con la stessa superficialità con la quale lui li ha conosciuti e li avrebbe trattati».
«Il Greco non sarebbe contento se sapesse che ho raccontato la sua vita, ma dovevo farlo per testimoniare che queste persone sono esistite e non vanno dimenticate. Tutto ciò che voleva era costruirsi una casa e vivere in pace. Era un operaio, un costruttore, un mastro muratore. Costruire una casa significava costruire un futuro, per lui cemento e mattoni rappresentavano la speranza».
Dedichi il libro a tuo nonno. Chi era Antonio il Greco per Vincenzo Reale?
«Il personaggio di Antonio il Greco è ispirato a mio nonno. Nasce dai racconti di quella grande parte della sua vita che non ho mai visto, perché ovviamente l’ho conosciuto da anziano. Ma il Greco è un personaggio fittizio, vive da sé. Ho cercato di raccontare la sua storia nel modo più oggettivo possibile, distanziandomi dai ricordi, altrimenti sarebbe stato un memoriale. Il lettore si rende conto se chi scrive è troppo preso dagli eventi. La rielaborazione della storia tra realtà è fantasia ha impiegato molto tempo ma è stata fondamentale. Ho lavorato dieci anni al mio romanzo, portandolo con me ovunque».
Dieci anni sono tanti. Cos’è successo durante questo tempo?
«Inizialmente, La Fortuna del Greco era un racconto lungo. Ho iniziato a scriverlo tra i 19 e i 20 anni. L’idea mi venne un giorno parlando con il nonno. Ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza ascoltando le storie dei suoi tempi lontani. In quel periodo me ne raccontava di nuove, le aveva tenute nascoste nel tempo. Da ragazzo, quale ero, avevo poca esperienza nella scrittura, anche se mi ci dilettavo da quando ero bambino. La maturità della scrittura è consequenziale alla maturità personale, ero ancora troppo giovane. Infatti, quando abbozzai la trama per la prima volta non ne ero soddisfatto. Un giorno feci leggere il mio racconto a Gioacchino Criaco. Mi disse che la storia aveva un potenziale e ne valeva la pena, ma non era ancora pronta. Il romanzo abbraccia un arco temporale molto lungo, quasi cento anni. Dovevo lavorare alla struttura e intrecciare gli eventi tra passato e presente. La Fortuna del Greco è diventato quasi un’ossessione per me, ha occupato tutti i miei vent’anni, ma volevo rendere giustizia a questa storia e raccontarla».
«Mi ha accompagnato durante l’università, a Siena, e poi negli anni a Milano. Lì sono riuscito a scrivere l’incipit definitivo, dopo averne abbozzati una trentina. Ho continuato a rielaborare finché un giorno ho capito che era pronto. A quel punto, la stesura mi ha impiegato poco tempo. La storia era limpida e cristallina nella mia testa, scriverla è stato solo l’ultimo tassello».
Sulla genesi del tuo romanzo si potrebbe scrivere un libro. Cos’è successo a Milano?
«Ero lì dai primi giorni della pandemia e da casa mia, in una stanzetta condivisa vicino la stazione di Cadorna, sentivo il rombo dei mezzi militari per strada e delle sirene spiegate delle ambulanze. Lavoravo di notte come portiere e addetto alla sicurezza, nei condomini e negli hotel. Erano vuoti durante il lockdown, ma non potevano rimanere incustoditi. Io ci lavoravo e scrivevo. L’ultimo palazzo in cui ho prestato servizio era a San Babila. Al mattino tornavo a casa con la sostituiva notturna della metropolitana, passavo in via Larga e scorgevo il Duomo fare capolino tra le vie, lì a pochi passi. Intanto il sole sorgeva e mi dava speranza. La città però era deserta, era il periodo più difficile della pandemia. Non si poteva uscire di casa se non per lavorare, come facevo io. Mi sentivo fortunato per questo. A Milano ho fatto anche volantinaggio, ma in Toscana sono stato cameriere, giardiniere e barista».
È un’immagine molto evocativa. La tua è una storia tipicamente italiana, come quella di Antonio il Greco, ma in due epoche diverse. Cosa c’è di Vincenzo Reale nel romanzo?
«Sono un calabrese di seconda generazione e credo che La Fortuna del Greco esista proprio per questa ragione. Ho avuto la possibilità di vivere le piccole e grandi differenze tra nord e sud d’Italia. Sono nato e cresciuto in Toscana ma fin da piccolo ho conosciuto e vissuto la Calabria. Il confronto spontaneo mi ha permesso di raccontare oggettivamente la realtà del sud. Allo stesso modo, racconto Antonio il Greco come persona prima ancora che come un nonno, o un padre, o un figlio. Mi interessa molto l’introspezione delle persone e dei personaggi, il modo in cui reagiscono agli eventi e si evolvono con questi. Mi piace che il loro carattere venga definito così, odio dilungarmi in descrizioni».
«I miei genitori negli anni ’80 hanno lasciato la Calabria in cerca di fortuna, così come aveva fatto Antonio il Greco decenni prima, con la differenza che lui non aveva potuto sceglierlo. Come conseguenza, io non so da dove vengo. Sono nato in Toscana ma mi sento del sud. L’ho anche studiato per scrivere il mio romanzo. Chi parte spera sempre di tornare a casa, io invece devo ancora capire da dove provengo, a quale luogo appartengo. Sono diviso tra la mia terra natale e la Calabria. E immagino sia la condizione di tutti i calabresi di seconda generazione. Mi dispiacerebbe se si pensasse che non conosco ciò che racconto, non è così. Metà del mio cuore è a sud, forse di più. Non ho deciso io di nascere in Toscana. Ho raccontato ogni cosa con sincerità, senza giudizi o pregiudizi».
Leggendo le pagine del tuo libro è chiaro che sai di cosa parli. Come pensi venga accolto il tuo romanzo dal pubblico calabrese?
«Spero che tutti i lettori, non solo quelli calabresi, apprezzino La Fortuna del Greco per la sua banale sincerità ed onestà. Spero che il libro, per quanto drammatico, possa sensibilizzare e dare una speranza. Il Greco è morto con la speranza. C’è un grande silenzio sulla Calabria, è una terra con grande potenziale. Questo silenzio va interrotto, vorrei che questa storia possa arrivare a tutti gli italiani.
È molto affascinante l’intreccio di passato e presente che hai tessuto tra le pagine. La vita del Greco è testimonianza e metro di grandi avvenimenti storici e viceversa. Accade a tutti noi durante la nostra vita ma non ne facciamo caso. Cosa rimane oggi della realtà preistorica di Antonio il Greco?
«È una realtà ancora oggi percepibile, secondo me. Ci sono i sentori di quella magia. Il libro è un tentativo di ricostruire gli ultimi cento anni della Calabria e del Sud, raccontati dal punto di vista di uno degli ultimi. In tanti lì non hanno mai avuto voce, io ho cercato di dargliela attraverso la storia di uno di loro. La storia del meridione e della sua gente può essere sintetizzata in due verbi: costruire e distruggere. Le difficoltà nei secoli sono state tante, ma quei popoli non si sono mai arresi».
«Non è un caso che il protagonista sia un muratore che vuole farsi una casa. Innalzarla rappresenta una speranza, significa costruire il futuro. Il Sud non aveva nulla se non il cemento per costruire opere rimaste spesso incomplete, come la casa del Greco. In ogni viaggio verso casa dei nonni, mi ha sempre colpito il cambiamento estetico dell’Italia lungo la Salerno - Reggio Calabria. Case incomplete e senza rifiniture si affacciavano sulla strada, agglomerati di cemento che volevano andare più in su ma non gli era concesso».
Cosa si prova a tenere in mano il proprio libro?
«Il lavoro è stato lungo e impegnativo. Ho scritto La Fortuna del Greco in molte città di tutta Italia: Milano, Firenze, Grosseto e Siena, ma l’ho iniziato e terminato in Calabria. È stato un percorso così immersivo ed intenso che adesso fatico a realizzare sia vero, di averlo tra le mani. Ho cercato per dieci anni la pubblicazione con Rubbettino. Ogni volta che avevo una nuova versione la inviavo. Dopo tanti no, alla fine, quando il romanzo era veramente pronto mi hanno detto di sì. Per me è una grande emozione».
«Nella mia vita ho messo tanto da parte per lavorare a La Fortuna del Greco, ho rinunciato a tante opportunità. Per me rappresenta veramente qualcosa di importante. Ho presentato il mio libro a Milano, in compagnia di Gioacchino Criaco alla Libreria Feltrinellidella Galleria Vittorio Emanuele e al Libraccio di Firenze in compagnia di Valerio Aiolli. Lascerò la mia casa qui a Firenze per proseguire le mie presentazioni in Italia. Viaggerò verso sud come il Greco, e in Calabria ce ne saranno parecchie. Il 9 febbraio alle 18 sarò al Mondadori BookStore di Siderno, al primo piano del Centro Commerciale La Gru, in compagnia della giornalista Maria Teresa D’Agostino e Luigi Franco, direttore editoriale di Rubbettino. Siete tutti calorosamente invitati!