Locri, Carlo Bruno Longo racconta la popolarità su TikTok e l’amore che lo ha portato in America

Locri, Carlo Bruno Longo racconta la popolarità su TikTok e l’amore che lo ha portato in America

La storia di Carlo è una fiaba: l’amore e il trasferimento negli USA, la popolarità su TikTok con la moglie Sarah, il rapporto con la Calabria.

LOCRI/BOSTON - Carlo Bruno Longo, 25 anni, è nato e cresciuto a Locri. Ha frequentato il Liceo Scientifico Zaleuco, è stato un arbitro della sezione di Locri e si è laureato all’Università Magna Graecia di Catanzaro. Oggi è un content creator, insieme alla moglie Sarah, americana. I loro profili di coppia sui social network sono seguitissimi; su TikTok (@carloandsarah), dove hanno raggiunto la prima popolarità, oggi hanno ben 3 milioni di followers. I video che li hanno resi famosi sono degli scherzi di Sarah a Carlo sulle grandi differenze culturali (e gastronomiche) tra Stati Uniti e Italia e, in particolare, la Calabria.

«Avete presente quando accade qualcosa di bello, di divertente e pensate ‘mi sarebbe piaciuto poterlo riprendere?’ Ecco, la storia dei nostri video è iniziata più o meno così», racconta Carlo, che adesso si trova negli Stati Uniti d’America con sua moglie, da qualche mese. L'intervista è tratta dal podcast Locri Dublino, di Luca Matteo Rodinò e Simone Raschellà.

Come hai conosciuto Sarah?

«Ho incontrato Sarah per la prima volta nell’estate 2015 quando è venuta in vacanza in Calabria con la sua famiglia, nel mio stabilimento balneare a Portigliola, il Loa Beach Club. Già allora mi aveva colpito e quando è tornata, nel 2018, sapevo che avrei dovuto fare qualcosa. Non parlavo bene l’inglese e avevo iniziato a comunicare con lei tramite sua nonna, che è calabrese. Le avevo chiesto di uscire ma aveva declinato perché era già impegnata ed io ho apprezzato tantissimo la sua serietà. Dopo la sua partenza ho iniziato a studiare l’inglese così da poter parlare con lei in prima persona le volte successive. Un giorno, nel 2019, mi ha scritto che sarebbe tornata in Calabria per le vacanze e che non era più fidanzata ormai da mesi. Mi ricordo che appena ho realizzato la cosa le ho detto che non mi sarei potuto dire dispiaciuto perché non lo ero», racconta Carlo sorridendo.

«Ho ripreso lo studio dell’inglese e al suo arrivo è iniziata la nostra storia. Abbiamo passato oltre 20 giorni completamente insieme e quando lei è dovuta ripartire sapevamo entrambi che saremmo rimasti insieme, non avevamo dubbi, non c’era la possibilità di dire che fosse un’avventura estiva. Allora sono andato io in America, per qualche mese sono stato ospite della sua famiglia; poi è sopraggiunta la pandemia e siamo stati lontani per otto mesi, le frontiere erano bloccate. Finalmente poi siamo riusciti ad incontrarci a Dublino, l’Irlanda era l’unico stato che consentiva l’accesso sia a me che a lei. Ero partito dalla Calabria con l’idea di chiederle di sposarmi. Era quello che sentivo di fare, penserete che sia un pazzo, ma so quello che sentivo e ho voluto ascoltarmi. Ci siamo sposati a Locri nell’estate 2021».

Com’è iniziata l’avventura su TikTok?

«Sarah aveva già iniziato a pubblicare alcuni brevi video in cui raccontava la nostra relazione a distanza. Dopo Dublino, sono stato tre mesi in America per studiare e lei ha trovato pane per i suoi denti per ‘architettare’ gli scherzi, perché non conoscevo bene l’inglese e tutto mi era nuovo. Osservava le mie azioni e le mie reazioni alle cose e ha iniziato a fare dei piccoli scherzi da condividere su TikTok, io invece non ero nemmeno iscritto alla piattaforma. Tra l’altro, Sarah ha origini calabresi, quindi sa quali tasti deve toccare per scatenare le mie reazioni. A volte addirittura si confronta con la nonna sugli scherzi da fare».

«Sarah è molto brava perché è cresciuta, come molti in America, con la cultura dei social network. Li usano molto di più e in un modo diverso dal nostro. Forse ne fanno un uso più consapevole, per loro non è solo svago o divertimento, ma anche una finestra per guardare video e conoscere storie di altre persone, un’occasione per crescere».

Cosa ti ha sorpreso e colpito quando sei arrivato oltreoceano? Quali sono stati gli shock culturali per te?

«Sono molte le cose che colpiscono, la prima reazione per me è stata di grande stupore: ‘esiste davvero, non è solo nei film’? In effetti l’America, almeno la parte che ho visitato io, è come si vede nei film. L’America è un film».

«Trovo molto efficiente il loro modo di gestire il tempo, anche in relazione al pranzo e alla cena. Il pranzo è qualcosa di veloce e rapido, uno snack o un piatto che ti è avanzato dalla sera prima magari, qualcosa di rapido. La cena invece è decisamente più abbondante, ma ad un orario inconcepibile per noi italiani, le 17:30-18. Io non capivo, mi chiedevo se non avessero fame la sera andando a letto», scherza Carlo. «Poi ho iniziato a notare che dormivo meglio perché il mio corpo aveva già digerito. Sto facendo l’abitudine a questa usanza, anche se mi piacerebbe comunque cenare un po’ più tardi. La cena così presto, dopo il lavoro, gli concede più tempo per altre cose: dopo aver mangiato possono uscire, divertirsi, o sbrigare commissioni, e non stanno fino a tardi con il pensiero di dover cucinare».

«Un’altra cosa che mi ha piacevolmente colpito è la sacralità del weekend, il fine settimana. Loro lavorano dal lunedì al venerdì pomeriggio (dipende dal lavoro ovviamente), poi c’è il weekend. Puoi sentirti o messaggiare con i colleghi ma non per parlare di lavoro. Questo aspetto mi piace anche perché, combinato con la cena a metà pomeriggio, consente di fare molte cose il venerdì fino a sera, poi il sabato si sta con gli amici e la domenica con la famiglia. In Italia è diverso, spesso si lavora anche il sabato o il venerdì fino a pomeriggio inoltrato, il sabato sera si esce con gli amici e quando si fa tardi si recupera dormendo la domenica, togliendo tempo alla famiglia».

Cosa ti manca di più della Calabria, della tua casa?

«In primo luogo, mi mancano tanto la mia famiglia e i miei amici, e poi la qualità del cibo. In America ci sono meno controlli sull’utilizzo di prodotti chimici nell’agricoltura. Qui trovo le fragole al supermercato a febbraio, e la gente le compra. In Italia invece mangi bene ovunque ti trovi, specialmente se mangi prodotti tipici. Non capisco come mai l’Italia non sia il primo paese turistico al mondo e come mai la Calabria sia così poco considerata. C’è tanta bellezza, in un’ora di macchina passi dal mare alle montagne».

«Qui in America ci sono molti ristoranti italiani ma è difficile trovare un locale buono. La cosa che mi fa arrabbiare è che molti spacciano dei piatti come tipici italiani quando in realtà non lo sono, neanche lontanamente. La gente però ci crede, li apprezza e magari quando prova la vera cucina italiana non gli piace».

«Mi manca anche il mare, il nostro mare secondo me non ha paragoni. Qui c’è l’oceano, è diverso, è forte ed è freddo e a volte ci sono gli squali. Una volta ho chiesto a mia moglie di andare a fare una passeggiata in auto vicino all’oceano, come facciamo a Locri sul lungomare, ma per lei non aveva senso. Io ogni tanto, qui in America, prendo la macchina e vado in giro per scoprire nuovi posti».

In base a ciò che tu hai visto finora, è vero quello che dicono sull’America, ovvero che la gente “ci crede di più” e ha più speranza?

«Da quello che ho capito, il sistema scolastico americano ti porta a trovare la tua strada nella vita. Il successo non ti viene regalato, ma se sei bravo, in generale, hai più possibilità di raggiungerlo rispetto all’Italia, anche se comunque tutto il mondo è paese. Mi riferisco in generale al successo personale nella propria vita. Il paradosso secondo me è proprio questo: in Italia, sicuramente in Calabria, anche se sei più bravo degli altri, hai poche possibilità di emergere, qui invece è molto più probabile. Il paradosso sta nel fatto che qui in America ci sono molte più persone, quindi c’è molta più concorrenza. Probabilmente le persone hanno più possibilità di farcela e questo potrebbe essere il motivo che le porta a crederci di più. Noi italiani ci sentiamo limitati, ci hanno limitati e ci siamo fatti limitare».

«Quando sono tornato in Calabria per laurearmi ho notato una cosa: la gente impiega molto tempo a raccontarsi cose delle quali non fregherebbe a nessuno qui in America», prosegue Carlo. «Noto tanta invidia nella nostra zona, nella Locride, che ruba tempo prezioso. Qui in America, in generale, se vedono qualcuno che ha successo dicono ‘guarda quello che bravo, com’è che possiamo arrivarci anche noi’? Viaggiare è importante per vedere molte cose diverse e cambiare prospettiva, però è necessario essere predisposti al viaggio e alla crescita. Io credo si cresca per confronto, mi è stato insegnato quando facevo l’arbitro».

Torniamo ai social network, raccontaci di come sono cresciuti i vostri profili

Gran parte del merito della nostra popolarità è di Sarah, ha sempre avuto una passione per i social. Anche per questo motivo ci siamo spostati su altre piattaforme, come YouTube e Instagram, dove i video che pubblichiamo sono diversi. È anche vero che, specialmente qui in America, quando raggiungi una certa popolarità è quasi obbligatorio essere presenti su più piattaforme, in particolare per contenuti come il nostro. Adesso abbiamo anche un manager e facciamo delle pubblicità (che ovviamente non sono scherzi veri)».

Com’è essere un italiano in America?

«La stragrande maggioranza delle persone che ci segue è americana, perché l’italiano qui è amato. Se sei italiano, per loro hai stile, sai cosa e come mangiare, sai cucinare, sai fare molte cose. Non importa se gesticoli, va bene perché sei italiano. Molte persone hanno origini italiane, magari hanno un antenato e se ne vantano. Certe volte penso che apprezzino l’italianità più loro che noi. Siamo stati abituati a guardare all’America come il sogno americano, è sempre stato così e per molti aspetti esiste, per altri un po’ meno. Loro invece hanno il sogno italiano, quello di fare la vacanza in Italia, un viaggio in Europa in generale ma in Italia in particolare».

Tu sei un Locrese, nato e cresciuto a Locri, dove hai anche frequentato le scuole fino al liceo. C’è qualcosa che hai voglia di dire ai tuoi (nostri) coetanei e conterranei?

«C’è una cosa che ho capito dopo il liceo e che mi piacerebbe condividere. Non domandatevi perché si debba studiare latino, o inglese o matematica. Da quello che ho capito nella mia esperienza, la logica dietro queste materie è immensa ed è la cosa più importante ed utile da apprendere. È vero, nella vita quotidiana non applicheremo mai una formula matematica, ma l’estrema logica della disciplina tornerà utile per affrontare le difficoltà. Prima si risolve il piccolo problema con le parentesi tonde, poi il grande problema con le parentesi quadre e infine tutto il problema, con le parentesi graffe. Da studenti è normale lamentarsi e per certi versi non voglio dire che sia sbagliato, anche io l’ho fatto, odiavo il latino e l’inglese ad esempio. Però in tutte le cose della vita c’è una componente positiva, il bicchiere mezzo pieno, ed è a questo che dobbiamo guardare. Non voglio essere frainteso però, riconosco benissimo lo stress di uno studente liceale italiano, l’ho vissuto anche io in prima persona, quando ad esempio avevo cinque materie diverse al liceo in un giorno era un trauma. Voglio dire però che c’è una logica dietro ogni cosa che viene insegnata, bisogna coglierla e sfruttarla».

«Tengo anche a condividere un altro messaggio: non perdiamo tempo. Prendiamo in mano qualcosa in cui crediamo e portiamola avanti, e per fare questo è importante circondarsi di cose e persone positive. Solo facendo (e sbagliando) si può imparare».

«Consiglio anche a tutti di fare l’arbitro, è un’esperienza altamente formativa, per me lo è stata. Io avevo 17 anni e arbitravo le partite di gente molto più grande di me, prendevo decisioni con autorevolezza e mai con autorità, e loro dovevano ascoltarmi. L’arbitraggio mi ha anche insegnato a distinguere tra questi due concetti che spesso vengono, erroneamente, confusi, e mi ha fortificato, perché mi ha messo a confronto con realtà e persone più grandi. Bisogna mettersi in gioco e non mollare mai. Non importa quante volte si cada, ma che ci si rialzi e come lo si fa. Se cadi mille volte e ti rialzi mille e una, sei un vincente. Spero che la mia esperienza possa essere utile a qualcuno».

 

Di seguito, l'intervista integrale a Carlo Bruno Longo nel podcast Locri Dublino.

Tags