Il treno "Italicum" viaggia verso il si alla Camera, ma un pezzo del PD saluta Renzi.
Molti malumori hanno accompagnato, specie nel Pd, il voto sugli emendamenti all’Italicum, che è proseguito avviandosi verso il sì definitivo della Camera dei Deputati.
Il voto, è stato posticipato a questa mattina, probabilmente per prolungare “la passione” di Matteo Renzi, che è costretto a fare i conti con numeri più bassi del previsto e con alcuni dei suoi parlamentari pronti a non presiedere in aula. Tra questi non solo c’è l’ormai sempre più dissidente Pippo Civati, ma anche Rosy Bindi, Enza Bruno Bossio e i “lettiani” come Francesco Boccia .
Il patto, quello tra Renzi e Berlusconi, però non sembra vacillare né traballare, nonostante stia scricchiolando da giorni, e l’Italicum che vota la Camera è quello che hanno immaginato Matteo e Silvio, con l’aiuto di Angelino Alfano, che è stato determinante per inserire, ad esempio, la possibilità delle candidature multiple, con un emendamento appositamente approvato: se un deputato vorrà esser più sicuro della propria elezione potrà candidarsi in otto diversi collegi e dico otto.
Sono state confermate le soglie di sbarramento (che per i piccoli partiti dovrebbero essere qualcosa che faccia gridare vendetta): all’8% per una lista che corre fuori da una coalizione; al 4,5% per le liste coalizzate; al 12% per una coalizione di liste. Avete capito bene, ben 3 sbarramenti in questa legge elettorale. Anche il premio di maggioranza è quello previsto nell’accordo, infatti: andrà al partito o alla coalizione che prende il 37% dei consensi (o a chi, tra i primi due arrivati, vincerà il secondo turno) e lo porterà ad avere tra il 52 e il 55% dei seggi.
I collegi elettorali saranno “non più” di 120, mentre la prima stesura della legge ne prevedeva 148. Quindi mediamente raccoglieranno 500 mila elettori ed eleggeranno dai 3 ai 6 onorevoli. Le liste, quindi un po’ più lunghe del previsto, saranno come noto liste bloccate (anche queste ricordano il porcellum), perché non ci sarà alcun sistema di preferenza e ripeto niente preferenze (nemmeno sta volta). I vari emendamenti sul tema sono stati tutti bocciati.
“Il motivo per cui abbiamo chiamato così il porcellum è perché i cittadini non potevano scegliere i loro rappresentati”, ha dichiarato inutilmente in aula, ieri, la deputata Giorgia Meloni: “Qualcuno mi spieghi cosa cambia adesso”, praticamente niente. “Esser contrari alle preferenze e poi entusiasmarsi per le primarie nei gazebo è un controsenso”, ha detto invece Bruno Tabacci riferendosi alle parole del collega Emanuele Fiano, che per il Pd ha seguito l’iter della legge e dei suoi emendamenti in commissione. A Fiano è diretto anche l’attacco di Francesco Boccia: “Sostieni una posizione ipocrita”. E abbiamo detto tutto. Ciò ci fa ben capire l’aria che tira dentro il Partito Democratico, che dopo quest’altro smacco alla democrazia, di democratico ha sempre meno.
Anche il M5S si era detto disponibile ad approvare le preferenze: “Così vediamo se preferite votare con Berlusconi”, hanno detto in forme varie alcuni deputati e deputare grilline. Anche Erasmo Palazzotto (Sel), conviene su queste posizioni, dichiarando: “I deputati del movimento presenti in aula sono 101, se votano a favore ce la facciamo anche con i franchi tiratori del Pd”. Ma niente, niente preferenze, c’è poco da fare, non le vogliono proprio, non possono disobbedire al diktat di Renzi ne tanto meno rompere il patto del loro segretario-premier con il suo “alleato” Berlusconi.
La maggioranza composta per le riforme da Pd, Forza Italia e NCD, tiene anche se per poche decine di voti, sulle preferenze, ed anche sull’emendamento Gitti (277 favorevoli, 297 contrari, con la maggioranza sopra solo grazie al voto di sottosegretari e ministri), il quale emendamento proponeva la doppia preferenza di genere. Questo nonostante la deputata Rosy Bindi, con apposita dichiarazione di voto, abbia provato a forzare la mano guidando il malcontento delle donne del Pd: “Voterò sì alla doppia preferenza di genere per salvare l’intera legge” dichiarava la Bindi.
La maggioranza ha poi bocciato l’altro emendamento, quello sulle primarie obbligatorie per legge, presentato da alcuni deputati Pd, primo firmatario il Marco Meloni (in quota letta, per capirci), e votato da Stefano Fassina. Proprio Meloni, in serata, ha parlato di una “legge invotabile”, soprattutto per via delle liste bloccate, chiaramente non la pensano come lui coloro che hanno votato a favore di questa legge elettorale. E se la stragrande maggioranza dei deputati Pd, aveva dato mandato a Renzi, con un voto nella direzione del partito, su una legge senza preferenze: “è vero” conferma Meloni “ma con liste bloccate molto più corte, perché i collegi erano 148”.
Che non piaccia a tutti, l’Italicum, è ormai chiaro, meno chiaro perché stia passando così come è stata presentata alla Camera. Rosy Bindi, per esempio, non ha digerito il fatto che il Pd abbia fatto mancare il pieno sostegno ad una “norma antidiscriminatoria”, alle quote rosa, sacrificate nel nome dell’accordo con Berlusconi. Lo dice anche Pierluigi Bersani: “Se le quote rosa non si fanno perché Berlusconi non è d’accordo a me sorge spontanea una domanda”. Un errore, in realtà, ovvero quello di lasciare “l’ultima parola a Berlusconi”, ancora una volta aggiungerei.
Quindi per Rosy Bindi e Bersani, passi per la soglia di sbarramento, passi per l’assenza delle preferenze, per le candidature multiple, ma che il Pd abbia silurato le deputate e i loro emendamenti sulle quote rosa, no, non ci stanno. Non che si debba per questo votare contro, sia chiaro, ma “non parteciperò al voto finale” aveva dichiarato ancora la Bindi già lunedì sera.
L’Italicum, è ormai chiaro, non scalda i cuori del Partito Democratico. Ma sembrerebbe proprio che chi lo vota, lo fa spesso con quello spirito cosciente che: l’Italicum non sia poi quello che si voleva e che non sia poi così bello, ma visto che il Pd di Renzi, ha fatto tutto sto casino mandando via Letta, quindi ora bisogna portare a casa almeno qualcosa. Il voto all’Italicum serve a far vantare Renzi del risultato, della rapidità, ma soprattutto a dare un senso a queste ultime settimane, alle scelte compiute sul governo.
L’Italicum comunque, prima di trasformarsi compiutamente in legge, dovrà passare l’esame del Senato. Se non si trova l’entusiasmo (difficile che lo si riacquisti, dopo i molteplici malumori) è difficile che proceda in maniera rapida anche lì, come vorrebbe il premier. “E infatti si arenerà”, dice Loredana De Petris, senatrice di lungo corso, e capogruppo di Sel. “La miglioreremo”assicura invece Vannino Chiti, Pd.
L’unico dato certo è soltanto quello che ci vorrà del tempo, affinché l’Italicum diventi legge e che diventi a tutti gli effetti il Porcellum 2.0.