Napolitano, Gratteri alla Giustizia "Non expedit"

Napolitano, Gratteri alla Giustizia "Non expedit"


Come direbbe in una tale circostanza Franco Battiato: “Quando il Sacro parla, l’Eccelso prende forma!” Il pessimismo, quasi di leopardiana memoria, da me manifestato nel precedente articolo (e non lo dico per mio vanto!) si è, alla fine, rivelato profetico. Ebbene si! Niente Ministero della Giustizia per Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Al suo posto il quarantacinquenne deputato del PD Andrea Orlando, già ministro dell’Ambiente durante il Governo Letta.



La responsabilità della mancata nomina di Nicola Gratteri alla Giustizia, tuttavia, non è da attribuire al Presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi, che, anzi, aveva inserito il magistrato calabrese nella lista dei ministri del suo prossimo Governo, rassicurandolo fino a venerdì pomeriggio, con la solita frase di circostanza, “Sei in Squadra!” e riuscendo ad ottenere anche il bene placido del Cav., il quale, dopo essersi assicurato della non appartenenza del giudice reggino a “Magistratura Democratica”, la corrente di sinistra interna alla Magistratura, ha dato la sua personale benedizione a Gratteri; e la scelta di Renzi  è provata tangibilmente da una fotografia, comparsa sul profilo Twitter di “Secondo piano news”, che mostra alcuni appunti in mano all’ex rottamatore con su scritto “Magistrato in servizio”, (dunque un chiaro riferimento al procuratore aggiunto di Reggio Calabria!).

 La responsabilità della non realizzazione di questo “sogno poetico”, invece, è da attribuire al Capo dello Stato. Re Giorgio, infatti, all’ultimo momento, con un gesto che ricorda molto quello dei tribuni della plebe ai tempi della Roma Repubblicana, ha opposto il veto alla nomina del giudice reggino al Ministero della Giustizia, allungando i tempi del colloquio al Quirinale con Renzi e preferendo un politico di lunga carriera come Orlando al magistrato anti - ‘ndrangheta per eccellenza, ironizzando, tra l’altro, quasi fosse un gioco, un braccio di ferro tra ragazzini, l’avvenuta bocciatura di Gratteri davanti ai microfoni dei giornalisti accorsi in massa fuori dal Quirinale: “Vorrei rassicurare i cultori di ricostruzioni giornalistiche a tinte forti, che il mio braccio non è stato sottoposto, né l’altro ieri né oggi, ad alcuna prova di ferro. Lo trovate, spero, in buone condizioni”.

Insomma, diciamo che era cosa molto prevedibile che Nicola Gratteri, o per un motivo o per un altro, non sarebbe mai riuscito a rivestire l’ufficio di Ministro della Giustizia e, anche se ce l’avesse fatta ad assurgere a tale carica, sarebbe, poi, stato inghiottito dal vortice della politica, non riuscendo a realizzare fino in fondo quelle riforme strutturali della giustizia penale, soprattutto in tema di lotta alla criminalità organizzata, che tanto servirebbero al nostro Paese, per permettere non solo di catturare i cosiddetti “capi bastone” della ‘ndrangheta, ma principalmente di colpire la “Malapianta” al cuore, quel “cuore d’oro” rappresentato dalla sua immensa ricchezza. Quel che colpisce, invece, di più, e rappresenta un’anomalia da un punto di vista costituzionalistico, è l’atteggiamento di Napolitano. La domanda, infatti, sorge spontanea: può un Presidente di una Repubblica Parlamentare con determinati poteri circoscritti, conferitigli dalla Costituzione, porre il veto alla nomina di un ministro? La risposta a tale quesito è tutt’altro che semplice e scontata! Prendendo in considerazione il passato, nella storia della Repubblica, esistono due precedenti di magistrati nominati poi Ministri della Giustizia: ovvero quello di Filippo Mancuso, proposto tra l’altro dall’ex Presidente della Repubblica Scalfaro, nel 1995 e quello di Nitto Palma, ministro durante il Governo Berlusconi IV, nel 2011.

 Entrambi, tuttavia, non erano magistrati “in servizio” all’atto della nomina. Durante il colloquio al Quirinale, infatti, il Presidente Napolitano avrebbe proclamato il “non expedit” confidando a Renzi: “Caro Matteo, Gratteri non può fare il Ministro perchè è un magistrato in servizio. C’è una regola non scritta, che però va sempre rispettata: i magistrati in servizio non possono andare alla Giustizia. Non è mai successo prima e non succederà neanche adesso“. Va detto, ad onor del vero, che il Presidente della Repubblica è anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e il niet di Napolitano potrebbe anche essere conseguenza di alcune prassi e cavilli burocratici interni al CSM stesso; va ricordato, inoltre, che i poteri del Capo dello Stato funzionano come il mantice di una fisarmonica: quando la politica è forte e si dimostra capace di provvedere al benessere dello Stato, il mantice di tale fisarmonica si restringe, quando, invece, la forza della politica si affievolisce il mantice si distende.

Effettivamente è da anni che la politica abdica rispetto alle sue prerogative e latita rispetto ai suoi doveri nei confronti dei cittadini, ma è pur vero che un Presidente di una Repubblica Parlamentare, quale è la nostra, non può comportarsi da monarca costituzionale, partorendo governi dal nulla, dettando agende di governo, suggerendo modifiche costituzionali e, persino, impedendo la nomina di un ministro che avrebbe potuto rappresentare una vera svolta per il nostro Paese. Comunque ora non resta che aspettare che Napolitano dia spiegazioni plausibili e accettabili a questo suo veto nei confronti di Gratteri, sempre ammesso e concesso che ritenga opportuno farlo. Il Presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi, dal canto suo, ha affermato di non volersi privare di un elemento così valido come il magistrato reggino, asserendo che comunque il giudice potrà contribuire con le sue idee all’attività di governo, dando nuovi impulsi e nuovi stimoli alla politica, soprattutto per quanto riguarda la pianificazione di quelle riforme strutturali atte a migliorare la giustizia italiana, tanto criticata dall’opinione pubblica e dagli esegeti del diritto.

 Riuscirà Gratteri dall’esterno, con la collaborazione del Governo e, più in generale, di tutta la politica, a realizzare il suo progetto di una giustizia più equa e che non faccia nessun tipo di sconto ai mafiosi?  “Ai posteri l'ardua sentenza!” Intanto la ‘ndrangheta è viva, più forte che mai e continua a mietere vittime e ad “intrallazzare” loschi rapporti con le corrotte istituzioni locali , distruggendo così questa sublime e al contempo terribile terra che è la Calabria.


di Emanuel Rodi

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