Il rione Malachia,rispolvera la Madonneglia,ieri la processione dopo tanti anni.

Il rione Malachia,rispolvera la Madonneglia,ieri la processione dopo tanti anni.

Mastro Paolo Italiano partì da Bovalino alla fine dell’ottocento. A Napoli, migliaia di fazzoletti bianchi sventolarono dal battello che con un suono assordante e grave,iniziò a fumare. Ci vollero oltre 50 giorni  prima di approdare nel porto di “Nova Iork”. Quando arrivarono di fronte alla Statua della Libertà, lo stupore attraversò gli occhi dei passeggeri. I visi,scossi dal viaggio, raffigurarono,come maschere, mille espressioni. I sorrisi speranzosi rigarono i volti degli uomini che si tolsero il capello,in segno di rispetto, di fronte a quella donna da 225 tonnellate. Mastro Paolo Italiano, lavorò come operaio in una fabbrica,in cerca di fortuna,nelle americhe lontane. Un giorno,si salvò miracolosamente da un incidente. Ripresosi dallo svenimento ,raccontò di aver visto la Madonna di Pompei, insistendo che,la sua salvezza fu senz’altro opera della Vergine, e , per contraccambiare la grazia, promise che avrebbe edificato una cappelletta in suo onore,al rietro in Italia. Al giuramento mantenne fede, e nel 1911,l’ultima Domenica di Maggio, venne eretto il piccolo capitello che insiste ancora oggi in c.da Bricà,nel prolungamento alla via degli Oleandri.

Il sig. Italiano,fino alla morte,ogni anno, in quella data, organizzava una festa in onore alla Madonna di Pompei. Era la festa che apriva la stagione, il paese si riuniva attorno al piccolo simulacro venerandolo con trasporto. La statua ,al grido di EVVIVA MARIA, varcava la soglia della nicchia tra gli applausi,e quattro uomini la alzavano,mentre la banda intonava il Mosè. All ’aria aperta,la statua respirava il profumo del gelsomino,che ,a Maggio, è nel pieno del suo splendore,mischiato all’odore dell’erba appena tagliata ,proveniente dai campi coltivati per il fieno. L’odore dell’estate,la speranza del popolo e le litanie accompagnavano la processione fino alla chiesa parrocchiale. Lì veniva officiata la messa, con canti in dialetto pura espressione di pietà popolare. Ed è in questi versi che si scopre anche il marcato carattere calabrese,forse un po’ troppo pretenzioso nei riguardi della Madonna. Come nella litania che dice : -“ ed eu non mo movu di ccà/si la grazia Maria non mi fa” - come se il miracolo fosse cosa dovuta,ma che poi più dolcemente cambia tono,come a dare dopo il bastone,la carota. Infatti ,prosegue umilmente :-“facitammilla Madonna mia/ facitammilla pè carità”.

All’uscita, i fuochi artificiali, salutavano la Vergine,tra gli applausi e le lacrime delle donne,che di nero vestite, cantavano le litanie alla madonna come se volessero che anche la statua fosse rigata da una lacrima. Le consorelle del Sacro Cuore,con lo stendardo,aprivano la processione, seguite dalla statua, dalla banda e dai fedeli,in direzione contraria all’andata.

L’addobbo è semplice, i pali della luce adiacenti la chiesetta,vengono adornati con frasche di oleandro, e tante lampadine attaccate l’una a l’altra per fanno da illuminazione. E come è sempre successo,la fede si mischia, indissolubilmente, al folklore.

Un mastro di ballo apre le danze,è un cinquantino,dal volto consumato,dal lavoro e dalle fatiche della vita, solcato da rughe,che solo il sole dei campi riesce ad illuminare fino al fondo. Porta le calandrelle e un camuffo di seta al collo, all’anulare della mancina luccica una testa di leone con le fauci aperte,tutta d’oro massiccio. Tiene con la sinistra il manico del bastone,con la destra la punta dello stesso e gira in tondo per invitare a fare “rota”. Il mastro di ballo non è un uomo così,scelto a caso,deve essere un uomo rispettato ed a modo,perché dirigendo il ballo malamente,potrebbero innescarsi risse che non difficilmente darebbero luogo alla “tirata”. È una specie di cerimoniere,di maestro delle celebrazioni, un sacerdote di riti. Inizia a ballare il mastro e il primo che chiama è uno spilungone con i mostacci che gli tagliano il volto olivastro, prima di entrare, con la destra, fa gesto di togliersi la “barritta” in segno di saluto,il secondo è invece un uomo più torchiato.I due ballano che sembrano i pupi siciliani quando narrano le gesta dell’ Orlando. Usano le mani come se fossero delle spade,imitando ,sulle note dell’organetto e del tamburello, un duello ,con modi estremamente eleganti. Saltellano con piccoli passi,come le api che quando saltano da un fiore all’altro,sono così delicate, che non sembrano poggiarsi ai petali. E vanno avanti e vanno indietro poi di nuovo in avanti,incrociano gli sguardi e poi “a mossa”. L’organetto grida, con tutto il fiato che ha nei polmoni,le note che l’abile musicista schiaccia sui bottoni,mentre il tamburello,macchiato dal sangue e dalle ferite provocate al musicante, decide il tempo della danza,più veloce,men veloce. Il mastro di ballo grida :-“ fora u primu”. E guai a non uscire. Entra una donna, e la danza assume un tono più romantico, il cantante,con la mano di fronte alla bocca a modo di megafono, paragona i ballerini ai più famosi piccioncini dell’Italia del nord,ma da noi si dice“volanu lu palumbu e la palumba chi parunu figghji di na sula mamma”. La donna,mani al cinto ,gira su se stessa, la gonna ,per grazia della forza centrifuga, si gonfia e si apre un po’,l’uomo gira intorno,sempre più veloce, poi si inginocchia,da la destra alla ballerina che gira intorno all’uomo. E di nuovo il mastro di ballo “fora u primu”.

Ieri il rione Malachia,ha festeggiato la sua giornata, con una gioia dal sapore antico. Infatti, la statua della “madonneglia” è stata portata in processione dalla sua cappella, allo stabilimento dell ‘AFOR dove è stata officiata la messa dal parroco Castelli. Da anni la statua è riposta nella sua nicchia,senza uscire solennemente. L ’ultimo ad organizzarne i festeggiamenti è Pietro Serafino,memoria storica della festa, che ha vissuto con grande commozione la manifestazione insieme ai figli Carmelina ed Enzo. Dopo la messa canti ,balli e la gara della pastasciutta,che ha visto sfidarsi dodici uomini. Una bella serata,all’insegna dell’aggregazione, della semplicità, e della tradizione.

Filippo Musitano da Calabriainforma

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